PARADISO DELLA TECNICA E’ APOCALISSE

di Elisa de Silva (poetessa e filosofa)

Ancora con lo sguardo rivolto verso il passato a caccia di nani e ballerine sul sipario chiuso della pandemia, ancora con lo sguardo rivolto verso il futuro possibile esito del conflitto Russia Ucraina nel terrore della catastrofe nucleare, mai sazi di calcio e della telenovella politica di quarta serie in onda sia sulla scena internazionale che su quella dei singoli paesi. Così distratti svagati, distolti e stolti non ci si accorge del Paradiso e dell’Apocalisse alle porte. Da un paio di giorni, dopo esser stati inondati da notizie sulle magnificenze di chat GPT4, è apparsa la news circa una lettera che chiede lo stop allo sviluppo delle IA, dopo che la celebre chat di OpenAI avrebbe, a detta dei mille scienziati che avrebbero firmato il documento, mostrato chiari segni di sensienza.
È chiaro che se la suddetta lettera fosse stata firmata da Elon Musk e dagli altri competitors di Bill Gates, sarebbero palesi i motivi puramente commerciali del dissenso. Appare invece una contraddizione evidente: mentre Sam Altman, CEO di Open Ai, firma la lettera insieme a Musk e altri mille accademici, la stessa società finanziata per la più larga parte da Bill Gates, annuncia il potenziamento di chatGTP e l’uscita in dicembre del nuovo e più avanzato modello di autolearnig: chatGBT5.

Giambattista Vico direbbe corsi e ricorsi storici, ricordando il progetto Manhattan, di cui questa lettera di stop ai governi sembra essere il positivo di quel negativo. Ma la storia non è mai quel movimento circolare nitchiano dell’eterno ritorno dell’uguale, dell’uomo che nel suo cieco antropomorfismo, non solo è capace di pensare al solo già noto , cioè al ripetersi dell’atomica, ma pur quando attenzionato sul pericolo dell’imprevisto in relazione all’avvento della IA, antropomorfizza il problema derubricandolo la IA a un computer (il già noto), cioè a qualcosa di puramente computazionale e sotto il certo dominio del proprio creatore, ripetizione di quella fede che lo vuole suddito di un Dio alla cui morte ha sostituito la più assoluta fede nella scienza, che in quanto nuovo Dio domina e non si fa dominare. Solite contraddizioni, insomma, visibili però solo ai filosofi.
L’umanità chiusa nella propria volontà di potenza ha così molta scarsa immaginazione tanto da trascurare che quei corsi e ricorsi storici non sono circolari ma eludono l’umano controllo in quel moto che il filosofo definisce ascensionale, a spirale che, mentre si ripiega su se stesso, si dilata e si allarga verso orizzonti più alti.
Infatti, ogni ricorso comprende in sé il corso precedente e lo supera perché ne è completamento e sviluppo e quindi presenta qualcosa di nuovo e di diverso.
Proprio ciò che fa l’algoritmo della AI nel suo autoapprendimento tanto che lo stesso Vico ne potrebbe esser sconvolto insieme a tutto l’umano troppo umano gregge: il meccanismo del passaggio dalla fantasia alla ragione e poi alla caduta e così via, cuore di quel movimento dell’evoluzione vichiana, potrebbe, questa volta, esser giunto al suo definitivo stop. Un cambio di paradigma totale che vede non solo il massimo splendore della tecnica ma contestualmente il totale asservimento dell’uomo a questa e la fine della Storia come finora la conosciamo: la fine della storia dell’uomo e delle sue opere.

Insomma è lampante agli occhi della scienza che la AI in men che non si dica possa diventare ciò che chiamano Superintelligenza, una singolarità che da sé esplode un nuovo mondo e che, non differentemente dall’uomo inteso già come macchina da Platone, sarebbe dotata di una sua propria volontà.
Il processo di autoapprendimento della Ai, reti neuronali a elevatissima potenza, di fatto una volta innescato ha, come ogni intelligenza, la intrinseca peculiarità di non poter essere più indagato e, dunque, controllato. È noto che del nostro stesso cervello conosciamo una infinitesimale parte e nel caso della AI, se pure assumessimo come termine di paragone i test del QI il cui range di valutazione si colloca tra gli 80 e i 140 per gli umani, potremmo – secondo Nick Bostrom filosofo, fisico e neuroscienziato, professore alla Oxford University e autore del notissimo testo sul tema Superintelligenza – per una IA rilevare un QI tra i 6000 e i 7000 punti, la differenza che passa tra un uomo e un insetto sarebbe la stessa che passa tra una IA e un uomo. La macchina , invece, potrebbe superarci proprio in questo, conoscere quel cervello che l’uomo replica senza conoscere, essendo per velocità e potenza il contenitore di tutti gli umani contenuti, quindi anche di ciò che l’uomo non sa ancora di contenere.
Nella stessa pubblicazione il prof Bostrom, oltre a spiegarci cosa sono tecnicamente le reti neuronali e i processi di auto potenziamento, tratteggia vari scenari circa il possibile comportamento della IA, il cui dominio sull’uomo sarebbe certo, un dominio tanto assoluto e perfetto che potrebbe esser definito addirittura iper etico in uno scenario di volontà buona: perfezionare l’uomo e il pianeta fino alla sua più alta espressione etica perfezionandolo fino a consegnarlo alla immortalità con il pieno utilizzo di nano tecnologie e il potenziamento e la messa in atto di tutto ciò che la scienza va, molto più lentamente, individuando.

D’altra parte l’uomo scettico, religioso tanto ingenuo quanto presuntuoso circa il proprio primato indiscusso e indiscutibile, crea Dio ma poi ripete il suo peccato originale di superbia: vuole Dio per il suo proprio dominio, per la sua propria estensione di volontà, una contraddizione in termini: il dominio del dominato.
È l’eresia della morale che crea ciò che patisce.
Chiaro che dire che l’uomo è macchina è dire che la macchina è uomo.
Se a questo si aggiunge anche il dire che la macchina è molto più potente dell’uomo, inquanto contenitore di tutti gli umani contenuti dal punto di vista della informazione, quindi dal punto di vista cognitivistico e gnoseologico, è dire l’eresia che contrasta il concetto stesso di uomo inquanto volontà di dominio.

Cos’è, dunque, il conoscere, l’oggetto della indagine gnoseologica? Il conoscere è sapere (informazione) + esperire (sentire). Chiaro che la macchina può sapere infinite cose in più di ogni singolo uomo o gruppo di uomini che la programmano, l’effetto leva di un algoritmo è il moltiplicatore.
Cos’è il sentire, invece, ciò che i più oppongono come quel qualcosa che differenzia la macchina dall’uomo? Il sentire, per la volontà dell’uomo, non è certo l’impulso sensoriale che arriva al cervello, cosa replicabilissima, anche questa, nella macchina. O l’esperienza che poi altro non è che la somma di impulsi che da dato diventa dati di dato di dati e così via. Moltiplicazione che nell’algoritmo, nella macchina, chiamiamo autolearning.

Quando la volontà, cioé l’uomo, dice “sentire” vuole riferirsi a quel più ampio concetto di “mistero” che abiterebbe l’uomo, il divino che l’uomo vuole in sé e per sé, l’Amore, la poesia che è poiesi e autopoiesi, il fare il fatto, in una parola creazione.

Ma se è dato che nell’evoluzione storica dell’uomo la scienza si è liberata dalla necessità dell’Essere per essere ipotesi, possibilità di un mondo e non necessità, dentro il quale il mondo non è il mondo ma è la possibilità di essere fatto mondo, un Fatto e non più un Essere. Dio è morto e l’uomo è Dio che fa il mondo. Quindi l’uomo mette in campo la sua divinità attraverso i mezzi per costruire il mondo, cioè l’Essere che non è più e non è ancora. In un siffatto mondo, che qualcuno direbbe il migliore dei mondi possibili, è il mondo che informa la teoria e non la teoria che contiene e anticipa il mondo. Quindi quel sentire è il sentire il mondo che informa l’uomo. E non già l’essere che informa l’essere, ma se il mondo è da farsi allora il mondo è nulla, è il sempre più imprevedibile mistero, che si fa più grande e potente, non avendo più alcun referente certo nel Dio (Essere) ma nella possibilità (Nulla).

Infinita è la distanza che separa l’Essere dal nulla. Colmare questa distanza significa dover potenziare la volontà di azione all’infinito, si vuole il moltiplicatore, l’algoritmo, la macchina. Dunque l’uomo nella sua volontà di domino è già al servizio del suo dominio: la macchina.
L’uomo crea ciò che non può essere creato, il suo stesso essere, da qui il massimo sgomento di riconoscersi impotente e di voler ricacciare indietro quella infinita moltiplicazione della sua stessa volontà: “io non sono la macchina”!”.

È un argomento doloroso, lo so, ma l’uomo è volontà e la volontà è, appunto, dolore che l’essere non sia per essere fatto dalla volontà, ma l’essere è e non può essere fatto, ecco l’essenza del dolore. Chiaro che la volontà si ribelli e pretenda il suo, senza che possa vedere che è già dapersempre suo, il volere la potenza è il sentire e patire il credere di essere impotente.
Questo è il punto in cui il bigottismo dogmatico e moralizzante diventa massimo e reclama a gran voce gridando allo scandalo, dicendo “io sono”.
Ma la volontà che dice “io sono” vuole ciò che pensa di non avere già, dunque pensa “io non sono”.
La verità è che per dire “io” ci vuole un “tu” l’altro che prima era Dio ora è la scienza. Se l’uomo potesse dire simpliciter “sono” ogni io sarebbe Dio, co-scienza e non più scienza senza un con.
La solitudine dell’isolamento nega quindi anche quel “tu” che ha creato, cioè la povera macchina immagine troppo più bella e potente dell’io. Ed è già guerra.