PUTIN RICOSTRUISCE LE FORZE ARMATE RUSSE FACENDO DIMENTICARE LE POLITICHE DISTRUTTIVE DI GORBACEV ED ELTSIN
Che fine avrà mai fatto il più grande esercito di popolo? Per quale ragione è stata sciolta Sovetskaja Armija, fino al 1991 erede dell’Armata Rossa? Soprattutto necessita sapere abbia avuto interesse a depotenziare l’esercito russo. A queste domande rispondono il fatti. Il depotenziamento dell’esercito dell’ex Unione sovietica è iniziato da Michail Gorbačëv e proseguito con l’opera demolitoria di Boris El’cin. Vladimir Putin ha così dovuto ricostruire un paese, la Federazione Russa, anche cercando di rinforzare quell’esercito distrutto da Gorbačëv ed El’cin.
Tra il 1985 ed il 1991, l’allora presidente sovietico Michail Gorbačëv aveva avviato un programma di drastica riduzione delle spese militari, soprattutto depotenziando nel numero le forze armate: una buona scusa si dimostrava nel 1989 il ritiro dell’esercito dall’Afghanistan. Il depotenziamento delle forze armate pare fosse stato influenzato dai personali rapporti che Gorbačëv intratteneva con i vari premier occidentali: un programma che non piaceva alla fazione stalinista del Pcus che, tra il 19 ed il 21 agosto 1991, tentava un colpo di stato per deporre Gorbačëv. Ma il guaio era fatto, l’8 dicembre 1991 Michail Gorbačëv concordava con i presidenti di Biellorussia ed Ucraina di sciogliere l’Urss, soprattutto di non far confluire le repubbliche nella futura Federazione russa.
In meno di due anni l’esercito russo veniva ridotto a poche unità, soprattutto sciolto nei nuovi stati che si divideranno il patrimonio sovietico. Tra il 1992 ed il 1993 toccava a Boris El’cin smantellare le ultime vestigia della struttura militare sovietica. Soltanto alcune ex repubbliche come Azerbaigian, Armenia, Uzbekistan, Turkmenistan, Tagikistan, Kirghizistan, Georgia e Transnistria mantenevano una buona parte delle forze terrestri ex sovietiche; un considerevole numero di armi veniva trasferito alle nuove forze armate dei vari stati, anche se un ragguardevole quantitativo di armi spariva nel nulla, soprattutto dopo il ritiro dall’Afganistan. Armi che, secondo fonti beninformate, sarebbero state vendute anche ad organizzazioni terroristiche (come al-Qaeda) tramite intermediari e contractor statunitensi ed occidentali. Un vero e proprio saccheggio del patrimonio russo (quello nato con l’Armata Rossa) favorito dai servizi segreti occidentali: un numero di pezzi stimato in 500milioni di armi da fuoco vendute ad eserciti privati, solo 100milioni erano i Kalašnikov e circa 75milioni gli AK-47.
Vladimir Putin ha così ereditato una Federazione Russa ridotta alla miseria, soprattutto ormai privata del suo patrimonio militare. Gorbačëv e El’cin avevano lavorato a rendere la Russia facilmente vulnerabile ad attacchi militari.
Ecco perché alle forze speciali russe non era rimasto che ricostruire l’esercito e, nel frattempo, investire anche in milizie mercenarie. Come il comandante ceceno Samil Basaev, che aveva già dato prova di capacità strategiche sia in Karabackh che in Abkhazia. Anche il capo della Wagner, Evgheny Prigozhin, si era dimostrato valido sia nel Donbass che in Siria come in diversi paesi africani.
Prigozhin e Basaev sono i gestori di due società militari di sicurezza: forze non controllate dallo Stato, che risolvono alcuni problemi ma possono crearne anche di nuovi. Ecco perché la Federazione Russa punta anche a potenziare l’esercito statale. E’ facile immaginare che il governo russo non si farà più ricattare dai mercenari: infatti il ministero della Difesa aveva imposto l’assorbimento delle milizie private nelle strutture regolari, la “nazionalizzazione delle milizie” negli apparati dalla Yukos di Mikhail Khodorkovsky sino al “Reggimento degli immortali”. Probabilmente l’intelligence militare (il Gru) aveva monitorato sia Prigozhin che il ceceno Ramzan Kadyrov: potrebbe essere risultato che Prigozhin oltre al gruppo Wagner gestisce su San Pietroburgo un piccolo impero di propaganda che lo ha trasformato in una figura pubblica. Analisi che rende più istituzionalmente affidabile Ramzan Kadyrov, che può contare su propri fedeli nella catena di comando, soprattutto li arruola personalmente nella sua piccola repubblica. L’unico capitale di Prigozhin è la Wagner, ma è sempre un esercito di mercenari dislocati nel mondo, di diversa provenienza e con sola fedeltà al danaro. La marcia verso Mosca del “cuoco” Prigozhin ha solo confermato che necessita rinforzare un esercito patriottico, un esercito di popolo fedele alla Federazione russa. Di fatto è cominciata la corsa al riarmo. I russi credono in Putin e sanno che il piano degli Usa è frantumare la Federazione in più di quaranta repubbliche. Poi la Federazione Russa è di fatto la nazione riferimento del gruppo BRICS, necessariamente deve dimostrare di poter militarmente aiutare i propri alleati. Del resto, se la Russia non avesse depotenziato la propria forza militare, l’Occidente non si sarebbe mai azzardato ad aggredire militarmente la Libia di Gheddafi e nemmeno l’Iraq di Saddam Hussein, e probabilmente non ci sarebbero state nemmeno le primavere arabe. La Federazione Russa è oggi un riferimento per molti popoli oppressi dalle strategie Usa: una grande opportunità per Putin, nemmeno l’Unione Sovietica ha mai goduto di tanto consenso.