AVVOCATO CINQUEMANI: “I MEDICI HANNO SEMPRE POTUTO RILASCIARE DICHIARAZIONI PUBBLICHE”

a cura di Francesco Cinquemani (Avvocato esperto di problematiche sanitarie)

Per anni si è narrato tra i corridoi degli ospedali che, i medici dipendenti delle strutture ospedaliere, ai sensi della Legge. 105/2000, non potessero rilasciare dichiarazioni o interviste, a meno di preventiva autorizzazione dell’ufficio stampa, che tra l’altro risulta essere ufficio facoltativo e non obbligatorio.

Come cittadini dobbiamo sostenere la tutela della libertà d’espressione dei medici, sia dipendenti Asl che liberi professionisti, perché la loro libertà di parola è di fatto il manifestarsi del nostro diritto ad essere correttamente informati, per poter scegliere il miglior trattamento terapeutico, esercitando così in modo pieno e consapevole il diritto alla salute, contenuto nell’art. 32 della Costituzione.

Tollerare, o peggio favorire, il silenzio dei medici, equivale a creare le fondamenta di una dittatura tecno-sanitaria, ben descritta in un romanzo distopico scritto nel 1932 da Aldous Huxley dal titolo “Il mondo nuovo” (Brave new world).

Con la storia del Covid-19 è emerso che nelle aziende sanitarie non si osservano le leggi, o peggio s’interpretano male. Inoltre dall’inchiesta della procura di Bergamo, dalle intercettazioni tra il Ministro della Salute Speranza e il presidente ISS Brusaferro e il direttore del Ministero della Salute Rezza, s’evince che “la scienza non c’entra nulla” (come riportato in diverse testate giornalistiche) e che “la comunità scientifica eviti di farsi tirare per la giacchetta”.

Andiamo al dunque, l’informazione che i medici non possano rilasciare dichiarazioni è vera per metà.

È vero che i medici devono chiedere il permesso all’ufficio stampa dell’Azienda sanitaria per cui lavorano, ed è pure vero che possano farlo anche due ore prima dell’intervista, anche con una semplice e-mail, ma è pure vero che non tutte le dichiarazioni necessitano di un permesso.

La Legge 150/2000 all’art. 1 comma 4 prevede che fuori dai casi quali segreto di Stato o di ufficio, dalla tutela della riservatezza dei dati personali e dai comportamenti deontologici vietati, i medici possono rilasciare qualsiasi dichiarazione, specialmente se di interesse pubblico, o ancora quando attengono ad atti della pubblica amministrazione, che in quanto tali devo essere obbligatoriamente resi pubblici.

Anche il CCNL – area Sanità attualmente vigente, prevede in modo molto generico che le dichiarazioni rilasciate non siano lesive della dignità della persona o nuocere all’immagine dell’Azienda o Ente, salvo che non siano espressione della libertà di pensiero ai sensi dell’art.1 della Legge n. 300 del 1970 (Statuto dei Lavoratori).

Così come il Codice Deontologico, che vincola i medici (anche se dipendenti) prevedendo obblighi e responsabilità di cui gli iscritti rispondo di fronte alle commissioni disciplinari degli Ordini competenti per territorio, prevede addirittura un obbligo di fornire informazioni al paziente. In particolare i medici, anche gli specialisti, devono informare il paziente sulle alternative terapeutiche e sull’appropriatezza della cura.

Infine i “Codici di comportamento” adottati dalle Asl territoriali per regolamentare le modalità della “Comunicazione aziendale” quando parlano i loro medici e/o i dirigenti, non si applicano ai propri Uffici Stampa. Qui si tocca con mano il passaggio – non solo più formale – da Usl ad Asl. I livelli dei servizi pubblici sanitari sono una questione di immagine, che i vertici vogliono tutelare, con controlli ferrei (almeno sulla carta) di quanto viene detto al pubblico. Con la diligenza del “buon padre di famiglia” viene da chiedersi cosa vogliano nascondere.

Questi codici di comportamento, essendo redatti ed adottati dai Direttori Generali delle singole Asl, sono da studiare e da approfondire in separata sede, caso per caso. Ricordo a tutti che sono atti amministrativi che assolutamente non possono derogare alle norme di Legge, al Codice deontologico, ed alla Costituzione.

Infine norme simili al quelle contenute nella Costituzione Italiana (in tema di libertà di parola e tutela della salute individuale e collettiva), si riscontrano nei Trattati Internazionali, come quello di New York o la c.d. Costituzione Europea: ai sensi dell’art. 10 della Costituzione Italiana sono immediatamente recepiti dal nostro ordinamento giuridico interno, ed hanno rango pari a quello costituzionale.

È quindi appurato e dimostrato che né in legge, né nel CCNL, né nel Codice Deontologico o nel Codice di comportamento, esiste alcun divieto per i medici o sanitari di rilasciare dichiarazioni di interesse pubblico.

Non esiste alcuna clausola di riservatezza o specifici divieti, esiste però un obbligo di legge per cui ogni atto della pubblica amministrazione deve essere reso noto ai cittadini, comunicazioni interne comprese. Dato che tutti gli atti devono essere pubblicati, altrimenti l’ente è inadempiente, sottolineo che anche le mail aziendali sono considerati atti pubblici.
Pertanto, se i medici vengono tacciati di non aver informato, sarà la ASL a violare la normativa vigente, e non viceversa.

Sperando di aver chiarito le basi giuridico-legali del diritto di tutti i medici a rilasciare dichiarazioni, vi invito a dare applicazione pratica a tale diritto, nell’interesse della sana informazione e dei cittadini tutti.

Tale buona prassi, servirà a scongiurare l’arrivo di una società post-democratica e distopica, gestita da un anonimo “Collettivo”, che sempre più spesso ci viene prospettata tramite film e serie tv, al fine di metabolizzarla ed accettarla placidamente.