DEMOCRAZIA DI MERCATO
di Enrico Corti (esperto di storia del sindacato)
Con le restrittive revisioni apportate all’articolo 48 della Costituzione (Titolo VI°, Parte II°), e con gli articoli 138 e 139 approvati con legge proposta dell’on. ragioniere Ettore Rosato (uomo di Matteo Renzi), tutto formalmente motivato per assicurare la governabilità delle istituzioni, è stato apportato un danno alla proporzionalità di rappresentanza: un danno enorme, confermato dalle elezioni dello scorso 25 settembre. Malgrado ciò, più che un diritto l’esercizio del voto rimane un dovere civico. Le modalità applicative del diritto/dovere di voto si possono stabilire (e si dovrebbero) con nuove leggi, in modo da garantire l’effettivo compimento elettorale a tutti i cittadini che ne hanno facoltà; il diritto di voto non può essere limitato per incapacità o impedimenti, dovuti anche a condizioni sociali e a burocratiche, a normative discriminatorie rispetto alla necessità di incentivare la partecipazione anche dei ceti e delle categorie più disagiate.
Di fatto, le revisioni apportate alla Costituzione non sono funzionali al governo delle istituzioni, ma sono compatibili all’esercizio del potere che, in un incontrastato sistema di libero mercato, è dominato dai voleri di chi più possiede enormi patrimoni (soprattutto le redini della finanza) e difende la propria libertà d’agire conservando il regime economico favorevole.
Attualmente la “democrazia” non è quella pensata dai greci nell’VIII secolo a.C. per amministrare la polis (partecipazione al governo della città-stato) nell’VIII secolo A. C.; voluta anche per la ricerca dell’armonia tra l’umanità e la natura; ma è quella “modernamente“ ideologica che si contrappone alla oclocrazia, cioè nemica delle risposte da dare ai bisogni dei popoli.
Con la divinazione dell’interesse e della libertà privata, sono state edificate pareti divisorie tra gli umani, facendo leva sulle paure sono stati combattuti i principi alla base della comunità: sconfessando anche Gesù Cristo, quando nell’Ultima Cena predicò il Sacramento della Comunione, ivi compreso il precedente della moltiplicazione dei pani e dei pesci.
Nell’attuale sciocca, ma tragica, discussione su immigrazioni e confini, in un mondo abitato per l’80% da chi si dichiara credente nelle varie fedi, nessuno si pone la domanda: ma i confini nazionali sono opera del mio Dio? Qual è quella divinità che ha deciso di dotare alcuni paesi di vitali giacimenti di materie prime quali petrolio, gas, minerali, terre rare, ecc. ecc. lasciando la maggioranza dei paesi nella penuria e nella povertà? I confini sono sempre stati determinati a conclusione di guerre tra nazioni? Soprattutto dove sta scritto che le ricche democrazie occidentali e le multinazionali abbiano il diritto di depredare l’Africa?
Ovviamente gli interrogativi sono rivolti anche ai laici credenti nella sola politica dei fatti (spesso solo a chiacchiere). Tutti assieme, a partire da coloro che dovrebbero rappresentare i lavoratori ed i ceti meno abbienti, sono la causa del 92,19% di italiani partecipanti al voto del 1948, precipitati al 36,09% d’astenuti nell’ultima elezione politica del 2022. In un rapporto l’Agenzia TECNE si denuncia che solo il 45% degli operai ha votato, in quanto disillusi e sfiduciati. Giorgia Meloni ringrazia, con solo il 14% dei voti ottenuti da Fratelli d’Italia confrontati con gli aventi diritto.
È tempo di passare dalle analisi alle proposte: come scritto in premessa e rimanendo nello spirito della Costituzione. Considerando l’esperienza storica e l’attualità; per recuperare la partecipazione di tutti i ceti e le categorie alle elezioni, per la formazione di istituzioni realmente rappresentative: oggi andrebbe discussa una proposta di legge incentivante di iniziativa popolare.
Se il voto, prima ancora d’essere un diritto fosse davvero un dovere civico, quindi un servizio pubblico; per l’esercizio del quale andrebbero messi a disposizione dei votanti i giusti strumenti pubblicamente finanziati. Soluzione potrebbe essere la ricompensa all’impegno civico votante per l’elettore che ha con compenso da lavoro, una pensione o un reddito annuo inferiore ai 50.000 euro lord: verrebbe riconosciuta una indennità di cittadinanza partecipativa democratica, pari a 50 Euro per ogni chiamata al voto.
Si auspica così la costituzione di un Comitato per la stesura e la presentazione di un Disegno di Legge d’Iniziativa Popolare. Ovviamente la classe dirigente, figlia della “Democrazia di mercato” e nemica della “Oclocrazia popolare”, metterà ostacoli e steccati.