CRITICA AL CLERICOGLOBALISMO ED ANALISI DELL’UTOPIA DELL’UNITÀ E CAOS
di Gioele Valenti
Una semplificazione brutale, vorrebbe – almeno dal “basso”, come se il basso differisse dall’alto per qualità e non per ubicazione – che le forze ascendenti del dissenso realizzassero un unico grande fronte comune, per coerentizzare una risposta contro-egemonica in grado di opporre, soprattutto numericamente, una forza politicamente credibile allo status quo. Insomma, pasolinianamente, processare il palazzo, con forza uguale e contraria, nel dolce domani di un monismo intransigente, dove i diversi leader dei diversi partiti, parlassero come un sol uomo. Insomma, una teologia integrale e coerente. Nella vulgata, gira… girano da mesi ormai diversi umori, diverse proiezioni su una realtà – quella del dissenso, appunto – che appare frammentata, disorganizzata, con una latente litigiosità – de facto – pronta a detonare l’unica speranza possibile di un reale cambiamento, prima delle colonne d’ercole del 25 settembre. E, di fatto, terra incognita appare il dopo, un dopo immaginato che alterna apocalittici scenari a salvifici interventi preternaturali. Certo, la storia delle infiltrazioni è vecchia. E vecchia è la pratica, non solo italiana, ma che nel nostro paese – in questo paese di mandanti, di stragi, di tradimenti, di piombo – indubbiamente ascende a un altissimo livello di perversione del potere, tutta italiana – appunto! – che vede il concorso di agenti guastatori, veline dei servizi segreti come adusa imbeccata per giornali di propaganda, e liquidatori del dissenso (gatekeeper) agire in sincrono per realizzare il sogno, di questo Potere: disarticolare in radice qualsiasi NO; coloro i quali, preposti ante litteram, fanno gli “sconsa joco” per conto di eminenze occulte, atti a convogliare la rabbia, darle sistema, per poi portarla su un binario morto, e buonanotte ai suonatori. E nei fatti, molte sono le figure che in questi ultimi anni hanno costellato la mappa del dissenso, meteore capaci di incarnare di volta in volta la disperazione dei cittadini – di quella minoranza stuprata dal liberticidio di stato – che appunto come stelle cadenti, hanno illuminato la notte dell’anima, fomentato speranze, per poi sparire nello stesso vuoto di antefatti che le aveva, in apparenza miracolosamente, partorite. Quello dell’eroe salvatore, del resto, è un vizio tutto italiano, e si sa. Esisterà, pensa il deluso, un paradiso dove tutte queste iconiche figure di una “rivoluzione” fallita, riposano elisianamente ricordando i bei tempi di ciò che poteva essere e mai fu. Tutto questo acuisce il senso di sgomento, certamente. Non appare dunque complottismo, a una mente critica, giustamente inquieta, avvezza alle crudezze dell’esistenza, né fuori dal mondo (ma è proprio incistato in questo mondo, che il crimine si organizzi!) l’ipotesi che, A: vi sia a lavoro sincronicamente a un piano di ridisegnamento dei rapporti sociali, anche la previsione di un quid dissenziente, una percentuale che il potere ben conosce, studia, prevede via nerds con master in cognitivismo, in lussuosi open space di think tank transnazionali, e previene con la costruzione in laboratorio di Macchine Contro-Desideranti, matrici che simultaneamente al crescere del malcontento, operino scientemente per la disarticolazione in radice di ogni NO, e che il potere realizzi in questo senso la figura del leader/trickster ad hoc. Una spendibile e sexy icona leader, possibilmente piaciona, brillante, che parli “alla pancia” degli oppositori; ipotesi B: uguale ad A, ma senza che il leader, che diviene invece pedina inconsapevole, aderisca scientemente, ma che semplicemente si trovi nel posto giusto al momento giusto, e allora si procederà ora aggiustandone il tiro, blandendone l’ego ipertrofico (chiunque aneli al comando, buono o cattivo, ne possiede uno davvero esorbitante), ora scatenandogli addosso la macchina del fango, insomma modulandone la presa, applicandogli dei bondage scalari, fino, laddove necessiti, al soffocamento.
Dopo A e B, vi sono tutta una serie di tonalità sfumate, gradazioni pressoché infinite di come il deep state possa operare, e come per le vignette da colorare, ognuno può esser un particolare tipo di artista, in questo senso, dando stura a un’immaginazione fervida, nondimeno realistica. E fin qui, sembra procedere, il ragionamento. Poi vi sono le fungibili strategie controegemoniche, la scheda bianca, o l’ipotesi astensionistica per protesta, o del rifiuto del sistema tout court, ma che nella sua più che legittima dignità di lotta politica, sconta in sé la tradizionale disunione degli italiani, l’impossibilità a far sintesi del dissenso per un sistema antropologico di cani sciolti. Certo, verrebbe proprio da non votare, come suggerisce Sceusa: almeno fintanto che il voto continuerà a essere strumento per un simulacro di democrazia; reduci da un governo Draghi ottriato dal Presidente della Repubblica, che con un glissando patrizio, surfando sul voto parlamentare, lo ha caldeggiato di fronte a Camere plaudenti, nell’agonia di ogni sembiante democratico, nel proscenio di un’orgia di colori politici, che fa disgusto, per omologazione e sudaticcia attività cospiratoria, a colpi di decreti legge, (legge)rissimi. Ma la pornografia fa questo, mischia gli umori ed eccita animi eternamente infantili, opzionando la pancia su qualsiasi altra mozione civile. Insomma, un enorme corpus politico portato all’attenzione; con l’astensionismo costituente si teorizza uno slittamento di paradigma, per evitare di ripetere il loop del voto inutile all’infinito. Creare una rete degli astenuti, milioni, massa politica critica, comitati costituenti. Del resto alle politiche del 2018, primo gruppo maggioritario, quello degli astenuti, raggiungendo il 28% degli aventi diritto al voto. Niente male, in effetti.
Ma tralasciando la messe di dati aggregati, su cosa oggi possa essere un “fronte del dissenso”, masse attraversate dalla disperazione, sferzate, ognuno nella sua personalissima carne e per i più disparati motivi, dalle violenze di un potere che ha esondato se stesso senza più pudore, per consegnarsi/ci alla totalità di un controllo panottico, capillare, su un cittadino che da soggetto di diritto è diventato, d’emblée, oggetto di rovescio; tralasciando ciò, ovvero mettendo per inciso che “massa”, è soltanto un’altra furba definizione del potere, per dirci, “siete tutti uguali, poiché avete nome e destino collettivo”, resta la doppia articolazione del concetto di unità: utopia e mitologia. E qui si fa interessante scendere nel campo dell’antropologia, e nello specifico di un condizionamento culturale atavico. L’idea che il mondo, il cosmo, possa esser interpretato alla luce di un’unica entità dalla quale tutto emerge, tutto deriva. In religione, ciò esita in un monismo, oggi sempre più liquido, nella attuale temperie clericoglobalista, e sul versanto opposto, quello della scienza, che coerentizza l’idea di unità con una disperante e sforzata ricerca di una Teoria del Tutto. In breve, si ricade, volente o nolente, perennemente nel regno di dio, un ricamo che tutto dovrebbe reggere, insomma, un dio anche per chi non ama sentir parlare di dio. Unità come super-mente di dio, che tutto unifichi da un punto di vista logico-matematico. Oggi, in diretto contrasto con qualunque vagheggiato anelito all’unità, ciò che prepotentemente si impone alla coscienza di tutti, è piuttosto la frammentazione. Di pari passo all’espansione tecnologica, e alla moltiplicazione di ego ipertrofici che essa veicola (si pensi ai social, come potenziatori per narcisismo patologico di massa), negli aspetti più disparati (conoscitivo, politico, sociale, religioso), si accompagna il processo inerziale dell’annientamento di identità, della totale sparizione di ogni coscienza di classe, dell’umiliazione di ogni spinta autonomista per il recupero di una sovranità monetaria (quando si tocca questo argomento, le teste rotolano, a volte non solo metaforicamente), insomma, della distruzione “creativa” (poiché orientata) di ogni agenzia di senso.
Appare dunque, a una visione realistica ed adulta, irrealizzabile questa utopia dell’unità, scontrandosi con la realtà sperimentata della frammentazione. All’affannosa ricerca di una coerente formulazione di un tutto politico, unificante nel monolite del dissenso, si contrappone un universo costituito da un insieme molto vasto di elementi e fenomeni mutuamente interagenti, dal comportamento – questo è interessante! – non lineare. L’evoluzione di questo cosmo politico è, infatti, di tipo caotico, ecco il paradosso. E c’è proprio da sperare che appunto nell’elemento caotico alligni la detonazione di sistemi di pensiero autoreferenziale, consolidati, ancorati a una dimensione egoica della politica, dove non v’è posto se non per la frammentazione, il peccato originale alla base di un probabile insuccesso.
In definitiva, uno scenario futuro solo congetturabile, tristemente registrando che l’unico corpus d’unità attualmente in vigore, di comprovato successo, pare essere il livellamento attuato dalla mercificazione di corpi e anime, coagulato a un cluster neoliberale, ca va sans dire, altro complesso teologico realizzato nell’unico modo oggi creduto possibile (“there is no alternative”), quello del mercato, nella sua declinazione più luridamente progressista.