Nuova Direzione Vecchie Battaglie
Sono Ruggiero Capone, ho assunto la direzione de “Lapekoranera” per continuare l’azione di monitoraggio del sistema economico e politico che influenza le nostre esistenze. Da almeno una trentina d’anni la vita di noi italiani è peggiorata nella qualità e nelle speranze. il sistema europeo ci era stato presentato come panacea di ogni male della nostra società. Oggi le norme europee ed il sistema bancario e fiscale hanno portato a morte gran parte delle attività tradizionali italiane. Circa sette milioni d’italiani versano in povertà irreversibile per motivi bancari, fiscali, tributari e giudiziari. Il numero dei “poveri irreversibili” aumenta ogni giorno, e dall’appena defunto governo Draghi ci hanno detto che “il mercato lo vuole” e che “un programma di povertà sostenibile” aiuterà questa gente a sostentarsi. Parole risibili, che si commentano da sole. Di fatto l’azione di questo giornale è informare la gente su come il potere mette ai margini il popolo.
Il caso emblematico di come il potere consideri il popolo sintetizzabile nel crollo del Ponte Morandi. Tra dieci giorni ne ricorre l’anniversario. E Lapekoranera si chiede chi abbia tratto giovamento dal disastro e quali speculazioni finanziarie abbia azionato la tragedia, necessiterebbe guardare oltre Genova, oltre le quarantatré vittime ed i danni ingenti al territorio ligure e del Nord Ovest d’Italia. Spesso l’italiano medio, che sia uomo di strada od alto dirigente (magistrato, burocrate di potere), dimentica il ruolo strategico dell’Italia, l’importanza internazionale delle sue infrastrutture. Così si è abituati a credere che la speculazione finanziaria sulle tragedie sia solo roba da fantapolitica, o che possa toccare esclusivamente strutture che sbarrano la strada ai progetti dei gruppi internazionali in lembi di terra meno civili della nostra “pacifica” Europa. Eppure basterebbe confrontare i dati del traffico merci dell’ultimo decennio, i numeri prima e dopo il crollo del Morandi fatti dai porti di Genova, Barcellona, Valencia, Algesiras, Marsiglia, Le Havre, Bilbao, Amburgo, Rotterdam ed Anversa. Non dimentichiamo come le società che hanno venduto i porti spagnoli e francesi alla Cosco abbiano tratto beneficio dal depotenziamento della struttura genovese. Dopo il crollo del ponte Morandi, la portualità italiana ha fatto numeri inferiori, a tutto vantaggio delle strutture spagnole. Genova era riconosciuta dal sistema portuale italiano come la regina del Mediterraneo, con un traffico superiore a tutti i porti dell’Unione europea, con un movimento container annuo superiore a quello dei porti di Amburgo, Rotterdam ed Anversa. Dopo il crollo del Morandi, si è spenta l’Italia del traffico merci per l’Europa portualmente strategica nel Mediterraneo, ed il danno lo hanno subito tutte le strutture portuali italiane, collegate comunque a Genova che smistava eccedenze e strategia logistica da Napoli a Gioia Tauro, da Taranto a Brindisi. Così l’Italia portualmente azzoppata, dopo il crollo del Morandi, ha parzialmente sopperito con il network dei porti adriatici, da Brindisi a Trieste, che negli ultimi anni s’erano concentrati soprattutto sulla rotta Balcanica. Tutto questo perché il crollo del Morandi s’è dimostrato funzionale a paralizzare la logistica italiana. Quindi, chi analizza il fenomeno del “crollo del Morandi” dovrebbe porsi il problema di chi abbia guadagnato dal disastro e cosa si sia sperimentato a Genova, anche in previsione di farne una metodica su altri territori. Un giusto equilibrio, od un patto tra più soggetti finanziari, suggerisce Naomi Klein (scrittrice ed attivista sociale canadese), ha fatto decollare nel mondo la “Shock economy”, l’ascesa del capitalismo dei disastri. Probabilmente, chi voleva azzoppare logisticamente l’Italia potrebbe aver spinto sulla messa in disuso della viabilità, immaginando che prima o poi le mancate manutenzioni avrebbero decretato il blocco del Morandi: nessuno vuole pensare a male, e cioè che avrebbero potuto anche auspicare la tragedia, il crollo. Anche se va detto che, è logico che il crollo avrebbe favorito il forte deprezzamento immobiliare in tutta l’area genovese, ed a tutto vantaggio della speculazione internazionale. Qualcuno potrebbe obiettare che anche a Venezia gli speculatori aspettano l’acqua alta per fare affari. E non si fa certo peccato a pensare che la speculazione soffi sul vento di crolli ed alluvioni per fare i migliori acquisti in Italia.
Ora non vogliamo minimamente ipotizzare che lo stratega del crollo sia all’interno dell’Aspi (della società Autostrade per l’Italia), ma nella struttura autostradale c’è il funzionario che non racconta agli inquirenti chi abbia ordinato di non fare le manutenzioni, di lasciare il Morandi al proprio destino. Dicono i portuali genovesi che, il Morandi qualche mese prima del crollo sarebbe stato come le vecchie navi in disarmo: ovvero cantava, le sue strutture in ferro emettevano suoni simili alle lamiere delle vecchie navi avviate alla demolizione, note per i profili dissaldati, arrugginiti o che giocano attorno a chiodi e bulloni. Di fatto il crollo s’è dimostrato un affare per eventuali omesse manutenzioni che avrebbero garantito meno uscite alla società e più dividendi ai soci, e nessuno vorrebbe mai malignare su manutenzioni finte, concordate tra ditte e personale dell’Aspi.
La Guardia di Finanza ha usato un software, sperimentato con successo dall’Fbi, per incrociare migliaia di telefonate, email e chat del ligio funzionario Aspi che sconsigliava le manutenzioni. Fonti interne all’Aspi parlano anche di dirigenza occulta dell’Aspi. I funzionari operano per rispondere a logiche ed interessi superiori, pare abbia sussurrato qualcuno ai familiari delle vittime del Morandi. All’uomo di strada sorge il dubbio esista una organizzazione superiore alla dirigenza Aspi, che obbedirebbe a logiche finanziarie internazionali, che garantirebbe continui la linea aziendale sulle manutenzioni anche con i nuovi gestori. Allora il fantasioso uomo di strada è legittimato a fare voli pindarici, a chiedersi se la fantomatica loggia che gestirebbe il Consiglio Superiore dei lavori Pubblici potrebbe mai avere contatti con la speculazione internazionale, con chi pratica la “Shock economy”, il capitalismo finanziario dei disastri. Suvvia, non pretendiamo che la procura di Genova spicchi un mandato d’arresto per il Demonio, finirebbe il mondo degli affari e delle angherie, e troppi analisti finanziari sconsigliano scelte avventate. Ma facciamo un po’ di filosofia, mutuando le parole dell’economista e filosofo Branko Milanovic, partendo dal concetto che il capitalismo abbia trionfato seguendo due modelli: in Occidente il “capitalismo liberale” ed in Oriente il “capitalismo politico”, da decenni il primo ha iniziato a vacillare sotto il peso dell’iniquità sociale ed il secondo per l’opposizione politico-sociale alla corruzione istituzionale. Milanovic s’interroga nel suo “Capitalismo contro Capitalismo” su quale dei due modelli potrebbe conquistare il pianeta, sul perché sia stata osteggiata una terza via; soprattutto l’autore dimostra che oggi siamo tutti capitalisti, e che per la prima volta nella storia dell’uomo il mondo è dominato (anche nel suo più recondito lembo di terra) da un unico sistema economico. Un unico sistema di interconnessioni finanziarie, per cui è ovvio che un crollo in Italia avvantaggi un concorrente straniero. Ecco perché è bassa la stima di quattro miliardi e mezzo di euro fatta dal team di esperti capitanato dal commercialista genovese Elsie Fusco. Certo è giusta la class action contro Autostrade per risarcire i cittadini liguri danneggiati dal crollo del Ponte Morandi, ma tremila euro pro capite sono poca cosa. Soprattutto necessiterebbe far emergere chi è il nemico del popolo. Far emergere il danno patrimoniale vero e tangibile, che ha riguardato aumento dei prezzi per i beni al consumi dopo il crollo del 14 agosto 2018, il calo del Pil regionale, l’impoverimento della popolazione, il calo del valore delle case. Ora Autostrade per l’Italia, dopo essere stata per ventidue anni dei privati, controllata da una holding delle famiglia Benetton, nel maggio 2021 è tornata cosa pubblica. Con la Holding Reti Autostrade Spa, che possiede l’88,06% del capitale sociale e che fa riferimento a Cassa depositi e prestiti che col 51% ne ha il pacchetto di controllo, e minoritari a pari quote del 24,5% i partner Blakston Infrastructure Partners e Macquarie Asset Management. All’uomo di strada sorge anche il sospetto che i Benetton siano stati lautamente liquidati per scongiurare raccontino di pressioni internazionali, rafforzando il sospetto che il capitalismo dei disastri abbia sfiorato anche l’Italia con le sue secche dita… “io so’ cara commare” avrebbe sentenziato un certo poeta corsaro.
In tanti si domanderanno come sia potuto crollare il ponte logisticamente più strategico d’Italia: è cascato a Genova al pari di come un mese fa s’è incendiato a Roma il “Parco archeologico di Centocelle”. In quest’ultimo ci sono le sedi dei comandi interforze dell’esercito italiano, organismi alle dirette dipendenze del Capo di Stato Maggiore della Difesa che esercita la pianificazione, il coordinamento e la direzione delle operazioni militari delle forze armate italiane e tutte le attività internazionali ad esse collegate: può mai andare a fuoco il “Pentagono italiano” per colpa d’un fuoco divampato nei vicini sfasciacarrozze. Tutto è monitorato micrometricamente, a Genova ieri come a Roma oggi, ma agli affari conviene la stampa dica che un ponte crolla per errore o che alluvioni ed incendi accadano per distrazione umana, o perché c’è lo scemo che non chiude il rubinetto o da fuoco alle sterpaglie.
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