L’ammissione di Pfizer e Moderna.«Nuovi vaccini protettivi? Boh»
Di Alessandro Rico, La Verità – A precisa domanda della Fda, le aziende rispondono che «non c’è alcun correlato di immunità stabilito». Non solo: esiste la prova che tra i 12 e i 15 anni l’efficacia è negativa. Eppure si dà il via libera allo sviluppo.
I pezzi grossi di Pfizer e Moderna non vogliono più trial clinici per i vaccini anti Omicron. Probabilmente abbiamo capito perché: non sono in grado di dimostrare che i loro gingilli proteggono chi se li fa iniettare.
Intervistato da Financial Times, Ugur Sahin, numero uno di Biontetch, la consorella tedesca di Pfizer, spiegava che «sarebbe utile avere l’opportunità di aggiornare il vaccino secondo i dati più recenti, senza l’obbligo di fare ulteriori studi clinici». Tanto, era la sua tesi, nel nuovo preparato cambia solo un amminoacido. Non vorrete mica costringere i luminari a ripercorrere l’intera trafila? Sulla Stampa di ieri, gli ha dato man forte il cofondatore di Moderna, Derrick Rossi: «Proprio perché il virus continua a evolversi e siamo sempre al suo inseguimento», ha dichiarato, «io spero che venga il momento in cui, invece di fare studi di fase uno, due e tre, si stabilisca l’efficacia dei vaccini a mRna». Così, a priori, «in modo che quando arriva una nuova variante si possa fare un piccolo studio di sicurezza prima di rilasciare il vaccino aggiornato». E tanti saluti al metodo scientifico. Peccato che, quando si vanno a spulciare i dati, le evidenze in favore degli intrugli miracolosi non siano esattamente granitiche.
Si è appena svolta, in videoconferenza, una riunione tra i rappresentanti delle due aziende farmaceutiche e gli esperti della Food and drug administration, che poi hanno votato – 19 a 2 – a favore della messa a punto e della fabbricazione di medicinali riadattati per la variante Omicron. Il parere positivo è arrivato nonostante i prodotti di Pfizer e Moderna avessero ricevuto, stando alla ricostruzione del New York Times, «commenti contrastanti».
Qualche perplessità, ad esempio, deve averla suscitata la laconica risposta di Kena Swanson, vicepresidente della divisione ricerca e sviluppo sui vaccini di Pfizer. A interpellarla è stato Ofer Levy, di Harvard. Il professore l’ha incalzata: avete parlato della moltiplicazione di anticorpi in chi riceve l’iniezione, ma qual è il loro correlato di protezione? Ossia, qual è la prova che questi anticorpi conferiscano immunità? Qual è la percentuale di riduzione del rischio associata al booster aggiornato? Replica della Swanson: «Direi che non è stato stabilito alcun correlato di protezione». Tradotto: non lo sappiamo. Non siamo in grado di stimare una percentuale di riduzione del rischio. Non abbiamo prove che quegli anticorpi rendano immune il soggetto. Il soggetto umano, o il soggetto animale: la società, infatti, ha esibito rilevazioni «dell’ultimo minuto» effettuate sui topi, che non erano stati nemmeno esposti all’infezione. Immaginate di essere poliziotti; un’azienda vi propone un giubbotto antiproiettile che non è mai stato sottoposto a una prova di fuoco. Lo indossereste?
Ricapitolando: ci hanno raccontato che «il tempo stringe» (parola di Sahin), che Omicron galoppa, che bisogna fare presto e che va riconosciuta «l’efficacia dei vaccini a mRna» (Rossi dixit), tipo articolo di fede. Adesso, però, scopriamo che, sì, le punturine riadattate danno una bella bottarella di anticorpi, ma non è possibile determinare se tali anticorpi fungano da schermo. E sarebbe su questa base che Fda ha chiesto a Big pharma di proseguire il lavoro? È in virtù di certi incoraggianti premesse, che Roberto Speranza e Franco Locatelli hanno annunciato l’ennesima campagna vaccinale, per il prossimo autunno?
Bisogna difatti ammettere che le incongruenze non sono solo sul versante delle società farmaceutiche. Ricordate quando i competenti ci catechizzavano sull’inutilità dei test sierologici? Misurare il livello di anticorpi, assicuravano, non serve a decretare se una persona è protetta dalla malattia. Era anche uno dei capisaldi di Fda. La quale, tuttavia, a pagina 13 del suo briefing, ora annota: «La valutazione dei vaccini modificati […] dovrà fondarsi principalmente su dati comparati di immunogenicità, a causa dei limiti di tempo». Capito come funziona la scienza? Se si deve convincere pure chi è guarito a porgere il braccio, si va in tv a sostenere che il numero di anticorpi è irrilevante. Ma se si tratta di approvare in fretta le dosi da distribuire a ottobre, la capacità di un farmaco di generare anticorpi diventa il criterio essenziale controllarne l’efficacia.
A proposito dei guariti. Dalle slide di Moderna, emerge un dettaglio interessante: in chi è stato già infettato, si riscontra lo stesso numero di anticorpi che sviluppa, 29 giorni dopo lo shot aggiornato, chi non ha mai avuto il Covid. E allora, per quale motivo i guariti, di qualunque età, dovrebbero offrirsi per l’ennesima inoculazione? Tanto più che gli studi della società non paiono granché approfonditi. Come per Pfizer, non ci sono informazioni sull’efficacia del vaccino; l’unico indicatore resta la quantità di anticorpi. In più, le verifiche sulla sicurezza sono state condotte su una coorte di 437 persone, seguite per un mese. Che conclusioni affidabili se ne possono trarre, visto che i preparati attualmente in uso hanno mostrato un’efficacia declinante a partire dal terzo mese? In quel caso, era venuto fuori che essi provocavano una miocardite ogni 10.000 punture. Ergo, quale idea potremmo farci degli eventuali effetti avversi cardiaci legati al nuovo booster, se il campione dell’esperimento è così limitato?
Infine, una postilla per l’Istituto superiore di sanità, che nel tentativo di confutare La Verità, ha screditato i suoi stessi bollettini, poiché certificavano l’efficacia negativa del vaccino in alcune categorie anagrafiche. Quelle analisi, balbettava l’Iss, scontano «limiti intrinseci» e «fattori di confondimento». Be’, avvisino i Centers for disease control and prevention americani. I quali, nella classe 12-15 anni, hanno documentato proprio l’efficacia negativa delle due dosi rispetto alla condizione dei non vaccinati.
Ecco, dinanzi a risultati simili, noi qualche domanda ce la poniamo. Forse, siamo intrinsecamente limitati.