«La siccità era prevista e l’uomo non c’entra, i programmi di riduzione di CO2 sono sbagliati e del tutto inutili»

Di Franco Battaglia, La VeritàNicola Scafetta, docente di fisica dell’atmosfera all’università Federico II di Napoli: «Avevamo pronosticato la crisi idrica di oggi nel 2018. A incidere sono i cicli planetari, non le emissioni. Per questo i programmi di riduzione di CO2 sono sbagliati e del tutto inutili».

Laureato in fisica a Pisa e poi volato negli Stati Uniti, dove ha conseguito il dottorato di ricerca e dove vi ha lavorato per oltre 16 anni, Nicola Scafetta è uno dei cervelli che ha fatto rientro in Italia: ora è professore di fisica dell’atmosfera e oceanografia alla Federico II di Napoli. Nel suo campo, Scafetta è considerato un luminare a livello internazionale. E, già dal 2018, aveva previsto la siccità di quest’anno. Nella tesi di laurea magistrale «La siccità in Campania nel 2017», che il professore ha assegnato alla sua studentessa Tatiana Rotondi, si può leggere: «Nei prossimi 20 anni le piogge in media dovrebbero aumentare, ma nel 2022 dovrebbe esserci un’altra crisi idrica».

Professore, ci parli di questa previsione.
«Il 2017 fu considerato uno degli anni peggiori per la siccità in Italia, e così assegnai quella tesi. Analizzammo le dinamiche delle serie di temperatura e piovosità in Campania dal 1900 al 2017. Il risultato più importante che trovammo fu che la variazione climatica non è stata lineare ma ciclica: un forte ciclo di circa 60 anni, con forti oscillazioni nella piovosità di circa cinque anni. Seguendo questi cicli – che nulla hanno a che vedere con le emissioni antropiche, che invece sono sempre aumentate in modo continuo e senza sosta – avanzammo la previsione che il 2022 (cioè cinque anni dopo il 2017) sarebbe stato un altro anno di grande siccità per l’Italia, con una probabilità dell’80%. Una predizione che oggi sembra si stia verificando. Vedremo poi quello che succederà in autunno».

Lei è giustamente cauto. Visto che ci siamo, mi accenna anche al suo modello di previsione climatica?
«Il mio modello riguarda l’evoluzione della temperatura globale. Analizzandola su lunghi periodi è più facile determinare se esistono influenze astronomiche sul clima. Infatti, i più importanti forzanti astronomici associati ai cambiamenti dell’attività solare, agli influssi mareali del sole e della luna sul clima terrestre e possibili altre cause legate alle variazioni dei flussi di particelle e pulviscolo interplanetario, sono fortemente caratterizzati dalle oscillazioni gravitazionali ed elettromagnetiche che avvengono nel sistema solare. Così ho voluto approfondire l’ipotesi che l’evoluzione climatica osservata sulla Terra durante gli ultimi 10.000 anni potesse essere caratterizzata da oscillazioni ritrovabili nei dati astronomici. Era il 2009 quando
scoprivo che tue le oscillazioni climatiche più importanti con periodi dai cinque anni in su, fino al grande ciclo millenario e a quello di circa 2.300 anni di Bray Hallstatt, sono coerenti con importanti cicli astronomici legati per l’appunto alle variazioni solari, a quelle mareali su lunga scala temporale e, in genere, alle più importanti risonanze gravitazionali del sistema solare. Tra questi cicli, i più importanti per il clima sono un ciclo di circa nove anni (associato alle maree), i cicli di undici anni (associati al ciclo delle macchie solari), e altri di 20, 60, 115 e circa 1.000 anni. Il mio modello climatico usa questi cicli astronomici ed è in grado di riprodurre il cambiamento climatico naturale da oggi fino, andando indietro nel tempo, al periodo Romano. Il sistema planetario appare altamente sincronizzato, come in una mirabile sinfonia celeste. E la variabilità dell’attività solare, ho potuto dimostrare, è sincronizzata dalle risonanze astronomiche orbitali su tutte le scale temporali, da quelle mensili a quelle multi millenarie. Trovo la cosa affascinante».

Quindi l’uomo c’entra poco con il clima. Come giudica i programmi di riduzione delle emissioni di CO2?
«Le politiche climatiche attuali si fondano su modelli climatici sbagliati, che non riproducono le oscillazioni climatiche. Ad esempio, il riscaldamento di circa 1 grado osservato dal 1850 a oggi non è dovuto al 100% all’uomo, come i modelli dell’Ipcc suggeriscono, ma è incorporato nella fase crescente del ciclo millenario ove sono incorporati anche il periodo caldo Romano, il periodo caldo medioevale e la piccola era glaciale con il minimo termico nel 1690. Invece, il forte riscaldamento osservato dal 1910 al 1940 e poi dal 1970 al 2000, interrotto da un periodo di raffreddamento dal 1940 al 1970, era dovuto ai già dei cicli di 60 e 20 anni. L’uomo potrebbe avere dato un suo contribuito ai cambiamenti climatici dal 1900 a oggi, ma non v’è dubbio che tale contributo è notevolmente sovrastimato dai modelli computerizzati. Anche il riscaldamento riportato nelle sequenze climatiche globali è esagerato perché in parte dovuto a cause non climatiche, come all’aumento delle isole di calore dovuto all’urbanizzazione, circostanza che altera le rilevazioni strumentali».

Avranno un qualche effetto sul clima le riduzioni delle emissioni?
«Quasi certamente no: i programmi di mitigazione climatica promossi dall’Ue e finalizzati a una riduzione drastica delle emissioni di CO2 (cioè la rinuncia dei combustibili fossili) saranno poco efficienti perché i cambiamenti climatici dipendono in modo minoritario dalle emissioni antropiche e perché nei prossimi decenni la maggior parte delle nazioni aumenteranno notevolmente le proprie emissioni di gas serra, vanificando i sacrifici europei. Ad esempio, in questo momento i Paesi asiatici stanno costruendo parecchie centinaia di centrali a carbone per assicurarsi grandi quantità di energia a basso costo».