Studio Usa: è più rischioso il vaccino del virus. Ma i dati grezzi dai trial clinici sui vaccini anti Covid non sono stati resi pubblici

Di Alessandro Rico, La Verità – Una ricerca sui trial dimostra che chi ha subito l’inoculazione ha il 43% di probabilità in più di incappare in effetti avversi gravi.

E se i rischi del vaccino superassero i suoi benefici? È il sospetto che viene, leggendo il paper – non ancora sottoposto a revisione paritaria – vergato da sette ricercatori americani. Tra loro, Peter Doshi, dell’Università del Maryland, già noto per le pressanti richieste alle case produttrici, affinché rilasciassero tutti i dati grezzi sulle sperimentazioni dei rimedi anti Covid.

Gli autori hanno sottoposto a un minuzioso scrutinio i risultati della fase tre dei trial randomizzati di Pfizer e Moderna. Obiettivo: esaminare la frequenza dei cosiddetti «effetti avversi gravi di speciale interesse». Si tratta di una lista di reazioni serie alle iniezioni, inizialmente compilata dalla Coalition for epidemic preparedness innovations e dalla Brighton collaboration, quindi adottata anche dall’Oms. I disturbi vanno dalle trombosi alle miocarditi, dalle disabilità persistenti alle malformazioni dei feti. In generale, qualunque condizione rappresenti una minaccia per la vita o, addirittura, provochi il decesso di una persona. Non si parla, insomma, di febbricole, nausea, o dolore al braccio.

Cosa è emerso dall’indagine? Citiamo testualmente: nel gruppo sottoposto alle inoculazioni, «l’eccesso di rischio di eventi avversi gravi di speciale interesse ha oltrepassato la riduzione del rischio di ricovero per Covid-19, rispetto al gruppo placebo, sia nei trial di Pfizer sia in quelli di Moderna». In sintesi: è risultato più pericoloso farsi somministrare il vaccino che restare esposti all’infezione.

L’aumento della possibilità di andare incontro a effetti collaterali rilevanti è stato sensibile. Per quanto riguarda Comirnaty (Pfizer), si sono verificati 27,7 eventi avversi gravi ogni 10.000 vaccinati, contro i 17,6 per 10.000 del gruppo placebo: in termini percentuali, il rischio risultava accresciuto del 57%. Nel caso di Spikevax (Moderna), gli incidenti sono stati 57,3 ogni 10.000 volontari sottoposti alla puntura, contro i 42,2 per 10.000 del gruppo placebo: un incremento del 36% del rischio di reazioni serie. Combinando i due farmaci, si ottiene un allarmante 43% di probabilità in più di incappare in effetti collaterali potenzialmente fatali o invalidanti. I più tipici sono stati i disordini della coagulazione; quelli cardiaci, registrati nel gruppo Pfizer, sono apparsi bilanciati tra vaccinati e individui sottoposti al placebo nel trial di Moderna.

E allora, vi chiederete: com’è stato possibile che le agenzie regolatorie, a partire dalla statunitense Food and drug administration, abbiano dato il via libera a questi medicinali? Il punto è che Fda si è trovata a considerare dei numeri affatto diversi. Le ipotesi per spiegare la discrasia sono due. Primo: l’ente federale ha rilevato l’incidenza degli effetti collaterali gravi, ma così ha perso di vista il fatto che in alcuni pazienti singoli si erano manifestate reazioni multiple. Secondo: Fda ha eseguito i suoi calcoli su un campione differente, selezionato in modo meno rigoroso, nonché in base a follow up più limitati.

La conclusione che traggono gli scienziati è cristallina: le evidenze, a loro avviso, dovrebbero giustificare ulteriori «analisi formali sul rapporto rischi/benefici» dei vaccini, in particolare per quelle categorie di popolazione che corrono scarso pericolo di ricovero o morte per il Sars-Cov-2. È una tesi in linea con la proposta che, pure da noi in Italia, sta diventando sempre più ragionevole formulare, in uno scenario in cui predominano le contagiosissime sottovarianti di Omicron: ricalcolare i vantaggi di queste punture a ripetizione, per di più a distanza di pochi mesi l’una dall’altra, almeno su quelle fasce d’età per le quali sono gli stessi report dell’Istituto superiore di sanità a certificare la perdita di efficacia dei farmaci, a fronte dell’allarme sulle controindicazioni. D’altronde, gli elementi di preoccupazione non emergono soltanto dai test clinici; gli autori dell’articolo, anzi, sottolineano che in vari database sulla sicurezza dei vaccini – Vaers, EudraVigilance e VigiBase – si riscontra un incremento di molti degli eventi avversi gravi passati in rassegna nel paper.

Infine, è interessante notare che quelli che i ricercatori Usa individuano come i limiti del loro studio dipendono, a loro detta, da un unico elemento: «Il fatto che i dati grezzi dai trial clinici sui vaccini anti Covid non siano stati resi pubblici». Di nuovo, Doshi e soci ne invocano l’immediata diffusione, «senza ulteriori ritardi».

Purtroppo, la spinta che proviene da Big pharma è tutt’altra: di recente, Ugur Sahin, l’ad di Biontech, la consorella tedesca di Pfizer, ha suggerito, per velocizzare l’immissione in commercio dei vaccini contro Omicron, di saltare a piè pari i test. Che volete che sia: nei medicinali riadattati, ha pontificato, cambia soltanto un amminoacido…

Rimane comunque un dilemma: se le cifre delle aziende raccontano di uno storico successo scientifico, perché mai c’è l’esigenza di nasconderle? E se i nuovi vaccini funzionano alla grande, che problema c’è a dimostrarlo prima, sperimentandoli in laboratorio, anziché iniettandoli direttamente a nonni, mamme, papà e bimbi?