Ucraina-Russia, Berlusconi: «Siamo in guerra anche noi perché mandiamo le armi»

Una bordata a Joe Biden e un’altra alla Nato. Non solo: anche una presa di posizione sull’invio delle armi all’Ucraina, che di fatto – sostiene – vuol dire essere in guerra. Silvio Berlusconi torna a sorpresa su un palco per un’iniziativa di Forza Italia e prende posizione sull’invasione da parte della Russia. Dopo la condanna, piuttosto freddina, dell’operazione militare del suo “amico” Vladimir Putin, l’ex presidente del Consiglio critica i leader occidentali e dispensa consigli a modo suo sulla tattica per spingere il capo del Cremlino alla trattativa, si legge su Il Fatto Quotidiano.

«Non abbiamo leader nel mondo, non abbiamo leader in Europa», è l’incipit del suo ragionamento. «Un leader mondiale che doveva avvicinare Putin al tavolo della mediazione gli ha dato del criminale di guerra e ha detto che doveva andare via dal governo russo», dice riferendosi chiaramente al presidente degli Stati Uniti Biden. Quindi passa a Jens Stoltenberg: «Un altro, segretario della Nato, ha detto che l’indipendenza del Donbass non sarebbe mai riconosciuta». Le conseguenze? «Con queste premesse il signor Putin è lontano dal sedersi a un tavolo», sintetizza il leader di Forza Italia.

«Siamo in guerra anche noi – scrive Il Fatto – perché gli mandiamo le armi, adesso dopo le armi leggere mi hanno detto che gli mandiamo carri armati e cannoni pesanti, lasciamo perdere, cosa significa tutto questo? – si chiede – Che avremmo dei forti ritorni dalle sanzioni sulla nostra economia e ci saranno danni ancora più gravi in Africa e allora è possibile che si formino delle ondate di profughi e questo è un pericolo derivante dalla guerra in Ucraina».

«Bisogna pensare a qualcosa di eccezionale per far smettere a Putin la guerra». E rilancia il suo vecchio cavallo di battaglia della difesa comune europea: «Dal 2002 – riporta Il Fatto Quotidiano –  ho chiesto all’Europa di darsi una voce sola in politica estera e una forza armata comune. Oggi sommando i 27 Paesi spendiamo 400 miliardi di lire all’anno. Con una forza comune si diventava una potenza militare mondiale – conclude – Ora non contiamo nulla nel mondo, io insisto ora che sono nel Ppe, perché ci sia una politica estera e di difesa comuni».

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