Ristoranti in agonia nonostante nazi pass: volevano «lavorare in sicurezza». Ricciardi fan del lockdown

«Non essere riuscito a far fare il lockdown a Milano e a Napoli durante la seconda ondata» di Covid-19 in Italia è il rammarico «più grande» di Walter Ricciardi, consigliere del ministro della Salute Roberto Speranza per l’emergenza coronavirus, che in un’intervista a ‘Il Mattino‘ fa un bilancio della gestione della pandemia in Italia, all’indomani dell’uscita del Paese dallo stato di emergenza.

Ma il quadro attuale, evidentemente sconosciuto a Ricciardi, ex attore collega di Zelensky, è ben rappresentato dal Rapporto Ristorazione 2021 di Fipe Confcommercio secondo cui ad oggi sono «oltre 23mila le aziende che hanno cessato la loro attività nel solo 2021, una cifra che – sommata a quella del 2020 – arriva a un totale di 45mila locali che hanno chiuso i battenti nel periodo della pandemia, confermando l’andamento dell’anno precedente».

Tutte chiusure che hanno come contraltare anche una compressione delle nuove imprese: solo 8.942 nel 2021. E quelle che ci sono state, hanno risentito enormemente della stagione pandemica: oltre il 30% delle attività aperte nel 2019 non ci sono più. Del resto, turismo e ristorazione i settori più colpiti dall’emergenza coronavirus, con perdite (rispetto al 2019) che sfiorano i 34 miliardi di euro nel 2021, che diventano 56 miliardi se si considera il biennio appena trascorso, scrive l’agenzia AGI.

Per quanto riguarda il turismo internazionale, le perdite si assestano a meno 23 miliardi di euro e colpiscono soprattutto le città d’arte. Si tratta di cifre che solo in minima parte risultano bilanciate dalla crescita dei consumi domestici: appena 7 miliardi. Si stima infatti che queste perdite interessino la produzione agroalimentare per un valore di circa 15 miliardi.

Tutti questi numeri incidono anche sulla perdita di posti di lavoro e la riduzione degli impiegati nell’intero comparto: sono 193mila in meno rispetto al 2019, in particolare donne e giovani, gli anelli più fragili della catena lavorativa. Almeno un terzo delle imprese denuncia infatti di aver perso personale, cifra da leggere alla luce d’una ristorazione – quella italiana – fatta principalmente di aziende a conduzione familiare, in cui solo il 40% ha dipendenti.

Alla perdita di posti di lavoro, s’accompagna la difficoltà di trovare personale, soprattutto professionalizzato e formato: il rapporto parla di 4 aziende su 10 che lamenta la mancanza di candidati validi. Tuttavia, si legge nell’indagine Fipe, nella paralisi del settore incide anche il caro materie prime e l’energia ha la sua incidenza: l’87% degli imprenditori registra aumenti della bolletta energetica fino al 50% e del 25% per i prodotti alimentari mentre i rincari sono assorbiti, allo stato attuale, dagli esercenti: a febbraio 2022, lo scontrino medio è salito del 3,3% rispetto a un incremento generale dei prezzi del 5,7%.

Oltre metà (56,3% di bar e ristoranti) non rivedrà a breve al rialzo i propri listini, ma sarà a breve inevitabile, oltre che necessario, per poter remunerare correttamente i dipendenti. Le prospettive sono poi ancora più incerte dallo scenario di guerra che impatta sulle produzioni alimentari, materie prime energetiche.

«Andrà tutto bene» dicevano…

 

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