Von der Leyen e Green pass: la secchezza di un deserto emozionale

Ottimismo nel cuore, pessimismo nella memoria

Un mito eziologico è una storia di fondazione, delle ragioni profonde, ancestrali, che nutrono il mito, gli danno forma, lo in-formano, appunto.

Ursula Gertrud von der Leyen ha parlato chiaro sin dall’inizio, da una faccia che è una cartografia di tutto quello che il potere riesce a fare a una faccia – appunto –, la secchezza di un deserto emozionale, la vena idrica del sentimento prosciugata, la linfa del pathos, ridotta a uno sputo mentre si parla, al poco di un pop microfonico.

Fu tramite la sua maschera che il potere profondo ha vaticinato, «Questa è l’Era delle pandemie». Ed è del 3 febbraio scorso la notizia che Ursula intende estendere il Green Pass fino all’estate del 2023, considerato uno degli elementi indispensabili per il contenimento della situazione pandemica. E del resto, la Presidente della Commissione Europea non è nuova ad esternazioni apologetiche verso la tecnologia block-chain, che ritiene non solo inevitabile, ma addirittura desiderabile, per sottrarre i dati personali a Google, dice, e consegnarli nelle mani più amorevoli del governo.

Ne aveva già parlato Mark Fisher negli anni ‘90, di questa mano cibernetica digitalmente implementata. E del resto ormai anche gli scemi sanno che si tratta null’altro che di schedatura panottica dell’individuo; questo è ciò che si nasconde (neanche troppo velatamente) dietro la tessera sanitaria, la moderna annonaria senza la quale neanche un pezzo di pane potrete mettere sotto i denti (almeno, nelle intenzioni), senza che l’occhiuto sistema di potere ne abbia contezza, e ne voglia concedere razione, al padrone così piacendo. Non sei un cittadino modello? Nisba. Hai una pendenza fiscale? Nisba. Sei una testa calda, e osi dissentire? Conosci già la risposta. Nein!

Ciò che l’uso di questa tessera ha già guadagnato alla società, è l’abominio della consuetudine, la banalità di un male estremo che determinerà lo svuotamento contenutistico di quel mito chiamato società civile. Il mito eziologico del cane come amico dell’uomo, pone una ratio in illo tempore, ragioni, mitiche appunto, di questa amicizia. Oggi il bambino e il suo cane, sono amici, semplicemente, ed è una cosa buona. Ma funziona così anche per le cose lercie come quelle che il gatto porta in casa dal giardino. Nel momento in cui la tessera si sarà sganciata dal suo contenuto artatamente «sanitario», la gente continuerà ad usarla, fornendo un oblò preferenziale del governo sui cavoli propri, senza però più ricordarsi com’è cominciata.

La tetragona metafisica del: «è stato sempre così». Questo, il pericolo, per altro ormai manifesto e codificato da una prassi consuetudinaria. Questo non solo invera la vergogna annidata in tutta l’operazione covid, ovvero l’aver cavalcato una «pandemia» tutto sommato in minore, per sfasciare l’attuale ordinamento socioeconomico e consegnarci a nuovi rapporti di forza, sbilanciati gerarchicamente – ca va sans dire – verso l’alto. E sai che novità. E invece la novità c’è, ed è un inedito da soirée di gala!

Oggi ci troviamo a discutere di memoria storica, in una chiave revisionista. Dove tutto viene trasvalutato in melensa narrazione progressista. Bene, la memoria può essere eterodiretta, secondo una concezione obliterante del tempo. Non basterebbe il regista Nolan a chiarirci di come il potere possa trasvalutare prassi consolidate, storia storica, fattuale, attraverso sagaci torsioni linguistiche, immaginifiche, e controfattuali, ma se non sottovalutiamo il potere ostensivo della realtà, sorprendiamo essa stessa a raccontarcelo direttamente e dandoci del tu, da gran cafona quale si sta rivelando.

Bene, il Giorno della Memoria, celebrato il 27 gennaio scorso, ne è stato un esempio. Tahafut Al-Tahafut, ovvero l’incoerenza dell’incoerenza. Nel pieno di un tramonto democratico attraverso una demolizione controllata neoliberista, la giornata dedicata alla memoria dell’Olocausto, è stata oggetto di una serie di tirate di giacchetta di natura emetica, in un contesto fantozzianamente grottesco. Accuse di eresia!, a voler tracciare parallelismi storici, come se una immane tragedia, il cui triste monito dovrebbe servire ai posteri proprio a questo, ovvero a scongiurarne una riproposizione (per quanto storicamente diversa, in altro contesto, ma la gente pare poter comprendere solo una scena già vista), potesse essere dissacrata o venir deprivata della sua aura tragica, oggettivata chissà a quali fini. Un parallelo, va detto, che non è del tutto calzante. Se le vecchie dittature avevano carattere endemico, tutto sommato perimetrato e politicamente e geograficamente, oggi individuare il dittatore è molto più difficile, poiché dall’empireo glaciale di un potere oligarchico distante, olimpico (Megadirettore Galattico), all’ultimo usciere (Calboni) cui s’è dato un potere di controllo, l’individuazione del nemico appare un processo frantumato in mille rivoli di significati e significanti.

Il pericolo non viene più, infatti, dal poliziotto in sé, bensì dal poliziotto in me! Dal censore innato nel vicino di casa, dal salumiere che dice di dover eseguire un ordine perché «tengo famiglia», dal delatore che aspira ai suoi quindici minuti di notorietà e da fidanzati ipocondriaci. Ciò che è invece identico è il processo sotteso all’operazione. Una funzione che ricalca, ma anche trascende, l’aduso distico divide et impera. Ci viene in soccorso rileggere Foucault e leggere l’ultimo Bauman (Il disagio della postmodernità). Ebbene, pare essere il concetto di pulizia, a incarnare il modello predeterminato, scelto accuratamente dalla tavolozza di colori del potere, per selezionare una minoranza sgradita ai più. Dalle navi dei folli, Narrenschiffen, allestite dalle autorità municipali all’inizio dell’era moderna, in cui si stivavano i malati di mente, l’elemento inorganico alla società alienato via mare, alla Endlöslung, sorta di repulisti estetica come soluzione definitiva, l’ossessione per la «pulizia» è fortemente caratterizzante della postmodernità. La perfezione dell’ordine che va scrupolosamente protetto dal pericolo. Dai batteri ai virus, tutto ciò che turba l’armonia, viene utilizzato da uno stato, se non etico, eticheggiante, come perno governamentale. E fin qui, a livello del micro. Figuriamoci il caos semovente incarnato dall’essere umano, cosa possa significare per uno stato ossessionato da sanificazione e controllo. Peggio delle bestiacce, questi bipedi vanno dove vogliono, spesso di nascosto, sporcano, incontrollabili osano aspirare a una rappresentatività democratica…

Insomma, il tarlo del sospetto che l’ordine non sia in grado di «ordinarsi» da sé, ma che giustifichi una distribuzione di probabilità non casuale, bensì sovraordinata, gerarchizzata.

Queste le cupe riflessioni cui sono preda rientrando a casa, e a un tratto mi trovo affisso sulla porta dell’ascensore un dispenser sanificante. Corro allarmato dal portiere a chiedere spiegazioni. Mi risponde, «non preoccuparti, è in comodato d’uso».
La cosa, neanche a dirlo, mi preoccupa e tanto.

di Gioele Valenti
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Un pensiero su “Von der Leyen e Green pass: la secchezza di un deserto emozionale

  • 14 Marzo 2022 in 14:15
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    La corrotta burocrate burattina di Soros e Schwab non rappresenta nessuno degli europei ma una elites di usurai.Questa donnina sempre con i pantaloni per sembrare tosta ha addirittura cancellato le telefonate ufficiali fatte con il capo di Pfizer per accordarsi sui miliardi da dare alla società per dei veleni genici! Gia come ministro della difesa in Germania vi erano stati 400 milioni non giustificati appropriatamente in “consulenze”. Si vede che sono queste le azioni necessarie per essere eletti a cariche europee.
    E questa fà la filippica ogni giorno anche sulla rai e viene fatta passar per una che ha i famosi”valori”!! Valori che si possono riassumere in quelli dell’ aborto,sodomia,eutanasia,demolizione della cristianità e della famiglia tradizionale,indottrinamento sessuale dei bambini,guerra di distruzione della Yugoslavia e fornitura di armi a neonazisti ucraini.

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