‘La Verità’: l’urlo degli invisibili. Testimonianze aberranti in una nazione che si definisce “democratica”
La Verità, di Maurizio Belpietro, riporta alcune testimonianze chi è discriminato per aver scelto di non sottoporsi alla sperimentazione del farmaco genico anti Covid. È davvero inquietante pensare che in una nazione, per definizione «democratica», ci siano tali aberranti discriminazioni. Riportiamo queste testimonianza far eco a chi soffre: il dovere del giornalista è fare il «cane da guardia del popolo», non fare il propagandista di regime come purtroppo, oggi, fa la stragrande maggioranza di coloro che sono iscritti al nostro medesimo Albo (non riusciamo definirli colleghi).
I bambini prime vittime del green pass.
«Ho perso il lavoro, per mangiare ho dovuto vendere casa».
«Medico esentato, i colleghi mi trattano da criminale».
«Gravidanza a rischio, ma mi negano le cure».
«Mio figlio di 12 anni sta male perché gli impediscono di fare sport».
«Sono incinta, cacciata dal bar dell’ospedale».
Sono storie di famiglie, lavoro, burocrazia, umanità. L’indirizzo mail invisibili@laverita.info è stato sommerso in pochi giorni da diverse centinaia di testimonianze. Pubblichiamo le prime, dopo i necessari controlli giornalistici: ne seguiranno altre già in settimana. Genitori, lavoratori, anziani, fanno emergere un pezzo di società italiana discriminato per legge e cancellato dall’opinione pubblica e dalla rappresentanza. Non sono complottisti, non sono allucinati, neppure ribelli indisciplinati. Ma uomini e donne che, per una scelta – ovviamente discutibile, come tutte – si trovano espunti dalla società civile. E qui trovano voce, scrive La Verità.
Ingresso vietato al bar dell’ospedale a una donna incinta
Mi chiamo Francesca, ho 35 anni e sono incinta di 9 mesi. Sono un’invisibile. Non ho il vaccino per ovvie ragioni, non mi faccio iniettare un siero sperimentale mettendo a rischio la mia vita e quella del mio bambino. Credevo che il limite il governo l’avesse superato il 15 ottobre, quando ha introdotto il certificato per lavorare. Io fortunatamente ho fatto appello alla maternità anticipata, altrimenti avrei perso il posto… Lo stipendio che prendo è molto basso, ho anche una figlia di 13 anni da mantenere, unica in classe non vaccinata perché ha problemi cardiaci e costretta a continui tamponi ogni volta che un compagno è positivo: non potevo permettermi di spendere 15 euro ogni due giorni per i tamponi. Purtroppo questo onere è toccato a mio marito.
Il colmo è stato raggiunto nei giorni scorsi in ospedale. Sono a termine della gravidanza e per via dei protocolli Covid è necessario effettuare un pre ricovero che comprende le analisi di rito da fare a stomaco vuoto. Vado, aspetto, faccio gli esami e l’ostetrica mi manda a fare colazione perché il test successivo richiede che si abbia lo stomaco pieno. Ho fatto presente che non avevo il pass rafforzato, ma l’ostetrica mi ha tranquillizzata dicendomi: «Nessuno negherebbe un cornetto a una donna incinta». Mi presento al bar dell’ospedale, esibisco il mio stupido pass base, il lettore non lo riconosce, allora il barista mi fa: «Lei qui non potrebbe nemmeno entrare! Vada via! L’ingresso è solo per i vaccinati! Vada o chiamo la sicurezza!». Io allora chiedo se potesse semplicemente darmi un cornetto da portare via, ma lui sempre più irritato ha chiamato la sicurezza, come se fossi una criminale armata di pistola. Il vigilantes, guardandomi, ha preso il telefono, ha esibito il pass e ha detto al barista: «Ora dalle il cornetto, grazie». Il barista ha preso il cornetto e lo ha imbustato, poi ha detto al vigilantes: «Portala subito fuori se non vuoi rischiare anche tu il posto!». Io mi sono sentita così male… Perché devo subire questo trattamento? Stessa cosa alle Poste, in un negozio di articoli per neonati, ovunque. Io non ho intenzione di vaccinarmi neanche dopo, anche perché ho letto ricerche che mettono in luce i rischi per i bambini allattati al seno. Quando avrò finito la maternità rischierò di perdere definitivamente il lavoro.
Francesca Marroni
Questa scuola caccia ed esclude prof e alunni
Ho quasi 60 anni, la mia prima supplenza risale al 1984 e sono insegnante di ruolo nello stesso liceo, l’istituto scientifico Russell di Garbagnate Milanese, dal 1993. O forse sono stato insegnante di ruolo, lo saprò nei prossimi mesi. Già a luglio avevo capito che il mio anno scolastico sarebbe durato poco: quando ho rifiutato di presentare copia almeno della prenotazione del vaccino, in barba alla mia privacy, sono stato subito bollato come untore da tutti, dai bidelli al dirigente scolastico, e poco dopo è scattata la sospensione. Io ho rifiutato il siero, mentre tanti miei colleghi sono corsi a vaccinarsi (per alcuni è stato «il giorno più bello della loro vita») e altri hanno dovuto cedere avendo famiglia e non potendo rinunciare allo stipendio. Una collega mi ha detto: «Mi sono sentita violentata», credo non serva aggiungere altro.
Il 18 dicembre, un giorno prima dell’inizio della sospensione, ho inviato ai miei studenti, che non avrei rivisto, un breve messaggio: «Vi ho detto più volte che la libertà è il nostro bene più grande e ho sempre creduto nel valore inviolabile della persona; adesso voglio essere fedele a me stesso. Sentirete forse dire che sono stato sospeso perché non ho voluto vaccinarmi; ma non è questo il punto, ragazzi. La questione fondamentale è un’altra: se i nostri diritti ci vengono concessi a determinate condizioni, ciò significa che non abbiamo più diritti. E un uomo libero non può accettare che sia così senza combattere». La scuola attuale, che si riempie tanto la bocca parlando di gender e razzismo, in realtà è basata sulla discriminazione più becera e sull’indottrinamento. Dal mese scorso in cattedra ci sono insegnanti indegni di questo titolo, quelli che aggrediscono verbalmente gli studenti non vaccinati (alcuni ragazzi me lo hanno raccontato personalmente), e tanti insegnanti validi che con sofferenza si sono dovuti piegare al ricatto o che per cecità non si sono resi conto di ciò che è avvenuto in Italia dal luglio scorso in poi. Il mio no al vaccino infatti è prima di tutto un no politico.
Sono preoccupato e deluso per i giovani: tanti si sono dovuti rivolgere allo psicologo e stanno perdendo gli amici, perché se in un gruppo una persona non è vaccinata o rinunciano tutti ad andare al bar, oppure l’«untore» viene escluso. Questo perché la politica ci vuole divisi. Una scuola così non mi manca. Mi mancano invece lo stipendio e, ancor più, i miei diritti. E per il futuro? Non so. Per ora mi sono rivolto a un avvocato e sto iniziando a interessarmi al mondo dell’istruzione parentale. Sempre più genitori stanno pensando di ritirare i figli da scuola perché sono stanchi di questo andazzo e di provvedere in prima persona alla loro istruzione. Ma non bisogna farsi troppe illusioni, perché è una strada difficile e di sicuro non ci sarà spazio per tutti gli insegnanti sospesi.
Luca Della Bianca
Perfino i ragazzini vivono come dei reietti
Sono la mamma di due ragazzi di 13 e 16 anni che dal 10 gennaio scorso non possono più praticare sport perché sprovvisti del super green pass. Mia figlia faceva nuoto sincronizzato da otto anni e mio figlio pallanuoto da cinque. A entrambi non è più consentito allenarsi con la propria squadra pur essendo sani. Oltre a rinunciare allo sport, non possono neanche prendere i mezzi pubblici per recarsi a scuola o da altre parti. Non è assolutamente giusta questa discriminazione.
Elena Trolli
Adolescenti chiusi in casa. È un circolo vizioso
Non riesco più a tollerare che per un criterio incomprensibile del governo, a mio giudizio puramente discriminatorio, i miei figli di 12 e 14 anni non possano partecipare alla vita sociale e culturale della nostra città. Non possono entrare in un museo, andare al cinema o a teatro. Da un mese non possono più salire sugli autobus e fare sport al chiuso. Ora se non hanno un tampone non possono neppure entrare in un negozio per comprarsi le scarpe o i vestiti. Il motivo? Non hanno fatto un vaccino non obbligatorio che provoca effetti avversi. Stante l’attuale situazione pandemica e la palese inefficacia degli attuali vaccini nel contrastare la diffusione del virus, non comprendo come si possano discriminare così ragazzi giovani e sani. Non tollero più neppure l’opzione tampone che sarebbe da fare solo su chi è sintomatico, sui sani è tempo e denaro rubato alla società. Presto toccherà anche ai bambini dai 5 anni in su, se non fermiamo l’uso di green pass e super green pass per i minorenni ora.
Vi do qualche dettaglio sulla situazione dei miei figli. Il più piccolo tutto sommato tollera ancora la situazione piuttosto bene, anche se è diventato più ansioso e non vuole fare tamponi perché non riesce a sopportarli: costringere un ragazzo così piccolo è una violenza. L’anno scorso faceva pallavolo (giocando perfino le partite con le mascherine), ma a settembre è stato costretto a cambiare sport per sceglierne uno individuale all’aperto ed è passato all’atletica. Per il ragazzo più grande invece la situazione è molto più difficile: da gennaio ha dovuto rinunciare alla scherma, che prima faceva sottoponendosi a due o tre tamponi a settimana, e ora vorrebbe vaccinarsi per essere come i suoi amici. Noi però non vogliamo, d’accordo con il pediatra, e non riteniamo che questa decisione spetti né a un minorenne né ai politici, ma ai genitori e ai medici che conoscono e seguono i ragazzi. Questa situazione ormai ha innescato un circolo vizioso: i giovani passano ore a ciondolare davanti al computer o al tablet, si impigriscono e meno escono più è difficile stimolarli e farli uscire.
Raffaella Giribaldi
Gravidanza a rischio ma mi negano cure fondamentali
Mi trovo al sesto mese di una gravidanza a rischio per motivi di salute, precisamente per l’emicrania cronica ad altra frequenza peggiorata con la gravidanza e una sindrome depressiva. Patologie per cui mi è stata riconosciuta un’invalidità del 67%. Proprio per questo motivo il neurologo che mi ha visitato in ospedale mi ha iscritto nelle liste di pazienti che possono partecipare ai gruppi di gestione del dolore cronico del reparto di neurologia. Presentandomi all’orario prestabilito all’appuntamento ho trovato ad attendermi una bella sorpresa: mi è stato richiesto il green pass rafforzato da vaccino senza il quale non sarebbe stato possibile partecipare a queste prestazioni. E dire che nel decreto che prevede l’introduzione di green pass quasi ovunque è scritto nero su bianco che per accedere agli studi medici, agli ospedali e agli studi dei medici di base non è prevista la carta verde. Ottimo esempio di discriminazione che sicuramente mi farà bene in gravidanza considerando l’esistenza di patologie che me la stanno già complicando parecchio.
Quando ho comunicato di non averlo le dottoresse, a questo punto, mi hanno fatto una serie di domande inaccettabili del tipo: «Come mai lei non ha il green pass?», «Come mai lei non è vaccinata?». Inoltre mi hanno comunicato che non posso assolutamente accedere ai gruppi in quanto gli stessi sono «solo per i vaccinati», testuali parole. Le dottoresse, inoltre, hanno affermato che non sono stata avvisata della necessità di avere il green pass in quanto «hanno dato per scontato che io l’avessi». E qui mi sorge l’ennesimo dubbio: come si può dare per scontata una cosa non prevista per legge?
Dopo essere rientrata a casa, ho contattato il reparto neurologia per chiedere spiegazioni e mi hanno passato il primario. Telefonicamente, la stessa mi ha confermato che per le sedute ci vuole assolutamente il green pass; dopo averle menzionato il nuovo decreto, che non lo prevede, mi ha detto «di scriverle una mail ufficiale, cosi si informava meglio». Ovviamente io non ho scritto nessuna mail in quanto ritengo sia inaccettabile dover fare ulteriori sforzi per poter usufruire di diritti fondamentali previsti dalla Costituzione e «pagati» con le tasse che verso mensilmente con il mio stipendio come tutti gli altri cittadini, vaccinati e no. Mi è stato negato l’accesso a un servizio pubblico, in considerazione anche del fatto che nel mio fascicolo sanitario era presente un ticket di 36 euro da pagare per queste sedute. Tutto questo alla faccia della mia maternità a rischio e alla faccia del referto della visita neurologica del 1° ottobre nel quale nero su bianco è stato scritto di «evitare lo stress psico fisico».
Inna Markar’yan
Mio marito è morto 25 giorni dopo la puntura
Sono una «no vax» perché hanno voluto che io fossi questo. Perché non si può essere altrimenti. O bianco o nero, o dentro o fuori, o destra o sinistra. O no vax o sì vax. Si può essere tutto tranne che un essere pensante, che si pone e cerca di porre delle domande e che avverte, nonostante l’oscurità che ci è stata imposta, il meraviglioso germe del dubbio prendere forma. L’essere deve subire lo svilimento così da assottigliarsi a poco a poco, a suon di dosi, carte verdi e restrizioni, fino solo all’esistere. Esistere, non essere.
Come tanti sono affetta da due patologie autoimmuni, una delle quali mi è stata causata, probabilmente (ma tanto nessuno me lo dirà), da un farmaco sperimentale prescrittomi per l’artrite reumatoide. Perciò avevo paura a sottopormi al vaccino. Ma non è questo il punto. Forse il punto potrebbe essere che mio marito a 57 anni è morto d’infarto circa 25 giorni dopo l’inoculazione del siero monodose Johnson & Johnson, che ha fatto esclusivamente per me, per tutelare una «fragile», anche se non credo che nessuno troverà mai una connessione. Il referto autoptico ancora non c’è nonostante l’autopsia sia stata eseguita il 20 giugno 2021.
Ma forse il punto non è nemmeno questo. Perché non è solo la morte di mio marito, ma l’insieme dei decessi legati al vaccino. Il problema non è che a me non fanno l’esenzione, ma che non la danno quasi a nessuna delle persone affette da problemi di salute e perché non c’è stato mai nessuno screening preventivo. Ci hanno lanciati allo sbaraglio, come in una roulette russa, armati di un foglio da compilare, una penna e tutta l’ignoranza di chi si affida alla scienza. A me la speranza l’hanno tolta.
Ma non è nemmeno questo il punto. Il punto è che questa mia resistenza silenziosa (sono praticamente rinchiusa dentro casa non potendo fare nulla senza la carta verde) serve perché sia data voce a chi, affetto da patologie pregresse, deve «scegliere» la continuità al lavoro piuttosto che la salute o a chi piange la morte di chi non c’è più o a chi combatte contro gli effetti avversi del vaccino o a chi semplicemente piange la ormai perduta libertà dell’individuo.
Serena Villa Alicata
Rimasta a casa senza lavoro pur di resistere
Ero una consulente immobiliare abilitata. Ho chiuso la partita Iva poco dopo il primo lockdown perché immaginavo sarebbe stato un bagno di sangue qualora avessi proseguito. Successivamente ho trovato un’occupazione con un contratto di collaborazione presso una società fino a quando mi sono rifiutata di vaccinarmi e di tamponarmi ogni 48 ore per poter accedere all’ufficio perché non la ritenevo una scelta corretta in base al mio sentire, senza scendere nell’ideologico o nel personale. Il contratto si è prolungato fino alla scadenza per poi non essere più rinnovato. Era il 15 ottobre 2021. Da quel momento è iniziata la mia resistenza.
Sono stata un’imprenditrice con una storia di 20 anni di azienda alle spalle, che poi ho chiuso. Fortunatamente, i proventi di quegli anni mi hanno permesso di comprare una casa che ho venduto e da cui sto ricavando un piccolo sostentamento. In più, parallelamente, ho trovato un lavoretto da remoto per un’altra azienda, perciò fortunatamente riesco a mantenermi senza piegarmi a ricatti. I miei spostamenti si sono ridotti a passeggiate all’aperto e le mie relazioni a qualche ospite in casa. Per il resto, zero vita sociale. Ho perso molti amici e ci sono state discussioni infinite in famiglia, il tutto condito da accuse e discriminazioni continue. È nato in me un senso di rabbia e impotenza molto difficile da gestire. Per fortuna ho ricreato una rete di persone sveglie e, infine, mi sono ammalata di Covid (contagio avvenuto dopo una cena in casa a cui erano presenti tre vaccinati) proprio in questi giorni. Il 9 febbraio mi sarà possibile scaricare la tessera della discriminazione e sono amareggiata perché verrà emessa di default dopo il tampone che mi libererà dalla quarantena. Non la voglio, non la userò mai, eppure mi costringeranno comunque ad averla perché guarita. Concludo dicendo che sono una delle tantissime persone abbandonate a sé stesse e mortificate nell’anima che nonostante tutto hanno mantenuto e mai abbandoneranno la propria dignità nonostante i ricatti degli ultimi tre anni.
Marika Maroli
Ho dovuto cedere ma mi vergogno di mostrare la card
Sono sempre stato favorevole alla vaccinazione, ma mi sento offeso nella dignità ogni volta che mi tocca esibire il green pass, essendo stato costretto a cedere al ricatto della terza dose. Per evitarla, ho provato a convincere il mio medico mostrandogli il referto di un esame sierologico che mostrava la positiva presenza di anticorpi contro la proteina Spike, ma non c’è stato verso. E allora cosa avrei potuto fare? Senza non potrei accedere agli uffici giudiziari e come avvocato una tale inettitudine si riverbererebbe a discapito dei miei assistiti; non potrei entrare in piscina, attività per me di importanza vitale in quanto necessaria a combattere seri problemi di schiena, tanto che il primo sciagurato lockdown generalizzato mi costò un’ernia del disco con lesione del nervo sciatico, un mese alleato con dolori inenarrabili, tre mesi di riabilitazione, 2.000 euro di spese mediche.
Ogni volta che esibisco il green pass mi vergogno un po’ della mia vigliaccheria, mi spiace per quelli che sono segregati, mi sovvengono le miserie inflitte non solo ai lavoratori dipendenti rimasti senza paga, ma anche ai commercianti abbandonati da clienti insensatamente spaventati o incattiviti dalla propaganda di regime. Non ne possiamo più di questo ossessivo tracciamento, è incostituzionale.
Mauro Agostinelli
TUTTI GLI INVISIBILI!
Mensa Caritas: aperta a pranzo, ma anche qui serve il green pass, se non ce l’hai c’è il pasto d’asporto che vai a consumare al freddo sul marciapiede; sempre meglio di niente. La discriminazione c’è anche fra i poveri. Vicino al mio quartiere, a Roma, c’è un posto chiamato ‘il parco delle valli’ sotto il grande ponte delle valli che scavalca il fiume Aniene e la ferrovia Roma-Firenze. In questo posto vivono centinaia di disgraziati che dormono in mezzo alla boscaglia incolta in ricoveri improvvisati di latta e cartone o in tende. Sono di tutte le razze; gente dell’Est, Africani, Zingari, Barboni, uomini, donne, vecchi, bambini. Loro sono veramente invisibili, senza documenti, senza identità, nessuno li conosce e vuole conoscerli, loro stessi badano bene a non farsi individuare per non avere fastidi. Ogni tanto scoppia una rissa, qualcuno muore, qualcuno sparisce nel fiume, in inverno molti vecchi muoiono di freddo. Sono brutti a vedersi, cattivi, non hanno scrupoli, ti possono derubare, sono sporchi, non parlano la nostra lingua… ma per Dio! Sono esseri umani! Altro che invisibili! Posti così ce ne sono migliaia in tutta Italia, ci vanno da loro gli incaricati dalle autorità a controllare i Green Pass? La fondazione GIMBE (questa fondazione collabora con Pfizer Italia come riportato nel suo sito) stima che circa otto milioni di Italiani non sono vaccinati. Oltre agli Italiani non vaccinati ci sono anche tutte quelle persone di cui ho parlato sopra, quanti milioni diventano questi invisibili? E da Roma andando verso Sud sono sempre meno gli Italiani che hanno bisogno di Green Pass per andare a lavorare, semplicemente perché un lavoro regolare non ce l’ha quasi nessuno, la gente si arrangia come può per rimediare la giornata, altro che super G. Pass per andare al teatro o a sciare! Che ci fai con il Super Green Pass quando lavori a nero per pochi euro. Il super Green Pass serve per togliere soldi anche a questi poveracci che non ne hanno, una tassa da pagare, per entrare alla posta, per viaggiare con un mezzo pubblico e se non puoi prendere il mezzo pubblico spendi di benzina o devi pagare qualcuno per farti portare; quanti milioni diventano questi invisibili? Un ricatto per guadagnare con i vaccini rimasti prima che scadano e debbano ‘regalarli’ a qualche paese Africano, facendo anche la figura del benefattore.
Ci sarà mai una resa dei conti per i conflitti di interessi e le collusioni più che evidenti in questo grosso mercato illegale prodotto dalla pandemia? Qualcuno tempo fa parlava delle scuse che tanti dei personaggi coinvolti dovrebbero al popolo di poveracci che hanno frodato, ma l’ammenda vera e propria si fa soltanto pagando materialmente, in soldoni, per il danno arrecato. Che si fa, aspettiamo il Presidente della Repubblica per queste cose? Proponetegli una visita al ‘Parco delle Valli’. Ma penso che saranno gli stessi invisibili a provvedere, però se sarà davvero così potrebbero essere guai seri per tutti. Grazie per il vostro lavoro e distinti saluti, M. C. da Roma
Queste sono le storie che tutti i giornali italiani dovrebbero pubblicare. Sono le storie di un popolo messo allo stremo. I responsabili pagheranno per tutto questo. Chi invece ha agito ascoltando il proprio cuore, verrà ricompensato. La natura farà il suo corso.