Belpietro: mascherine sul viso e bavaglio all’informazione

Ormai dare notizie da tutto il mondo che consentano di valutare correttamente i provvedimenti sanitari è considerato un atto di irresponsabilità. Se non si cantano le lodi del governo si è bollati come no vax. E gli spazi di espressione si vanno restringendo.

In un mondo normale la stampa fa il proprio mestiere, raccontando i fatti e denunciando le incongruenze senza guardare in faccia a nessuno, sia che si tratti di politici sia che si abbia a che fare con presunti esperti. Ma il nostro non è un mondo normale. Forse non lo è mai stato, di certo non lo è da quando sulla scena è comparso il Covid. Con la scusa dell’emergenza, tutto è stato messo da parte, anche il buon senso, per non parlare delle regole deontologiche. Dunque, chi denunci gli errori commessi nella gestione della campagna vaccinale oppure segnali le bufale di una comunicazione un tanto al chilo, fatta spesso da chi dovrebbe parlare con dati scientifici alla mano, è tacciato di irresponsabilità, quando addirittura non si prova a ridurlo al silenzio. Per quanto ci riguarda, non siamo abituati a farci zittire, soprattutto da chi ha un curriculum biennale costellato di frottole. Tuttavia, ci rendiamo conto che gli spazi per descrivere ciò che sta accadendo si vanno facendo sempre più ristretti.

Non c’è solo Mario Monti, che dopo aver richiesto «modalità meno democratiche», che prevedano un diverso dosaggio dell’informazione, sabato è tornato in tv per dire che gli italiani sono sostanzialmente ignoranti e dunque, immaginiamo, che vada loro sottratta la libertà di decidere. No, oltre all’ex rettore sono in tanti a volerci tappare la bocca, impedendo la circolazione di notizie come quelle giunte sabato dal Giappone che, detto per inciso, è il Paese con il minor tasso di mortalità da Covid. Mentre in Italia si sta esercitando una forte pressione per vaccinare i bambini, il ministro della Salute nipponico lancia un allarme sui possibili effetti a seguito dell’immunizzazione con Moderna e Pfizer. In un Paese normale, non solo sarebbe lecito riportare un’informazione fondamentale per consentire di prendere una decisione che riguarda i minori, ma addirittura sarebbe ritenuto un dovere. Invece, se si dà risalto a questo tipo di notizie, che non coincidono con il pensiero mainstream, si viene subito etichettati come no vax, quasi che il vaccino non sia un farmaco, ma un dogma di fede, da accttettare senza critiche e, soprattutto, senza dubbi.

Lo abbiamo detto e ripetuto più volte, ma ci tocca riscriverlo: non siamo contro il vaccino e riconosciamo che il vaccino ha dato un contributo fondamentale nella lotta contro il Covid. Ma il vaccino da solo non basta. E non basta neppure prendersela con i pochi o tanti italiani che hanno scelto di non vaccinarsi. Visto che non esiste un obbligo (anche se di fatto lo si è introdotto surrettiziamente, privando di ogni diritto chi non si sia sottoposto all’iniezione), ognuno è libero di scegliere per sé ciò che ritiene giusto. Tuttavia, ritenere che l’aumento dei contagi sia il risultato della scelta individuale di non vaccinarsi non solo è falso, ma è anche una sciocchezza, perché diffonde l’idea che i vaccinati possano stare tranquilli in quanto totalmente protei dal virus, mentre così non è.
La maggioranza degli italiani non ha potuto vedere il lavoro di ricerca prodotto da Luca Ricolfi, in quanto anche il giornale che lo ha pubblicato – Repubblica – ha scelto di metterlo nelle pagine interne. In pratica, il sociologo torinese ha analizzato i principali Paesi, mettendo a confronto i dati dei decessi, quello dei contagi e le vaccinazioni: i risultati sono sorprendenti. La prima osservazione riguarda il concetto – ripetuto più volte negli ultimi mesi – che l’Italia sia d’esempio al resto del mondo. Dipende dalla prospettiva: su 25 società avanzate prese in esame, 12 stanno peggio di noi, ma 13 hanno risultati migliori, per lo meno se si prende come parametro la mortalità dell’ultimo mese. La seconda osservazione riguarda i contagi e la vaccinazione: il virus corre a prescindere dalla copertura vaccinale. In Portogallo, Irlanda, Islanda, Danimarca e Spagna, dove il tasso di immunizzati rasenta la totalità, la diffusione del Covid non si è fermata. Certo, c’è stata una riduzione importante della mortalità, e questo significa che chi si è vaccinato rischia meno, ma l’epidemia non è stata arrestata. Scrive Ricolfi: «L’idea che la colpa sia (quasi) tutta dei non vaccinati, e che vaccinando (quasi) tutti le cose tornerebbero a posto, è incompatibile con i dati». Del resto, se così fosse, aggiungiamo noi, non si parlerebbe di terza e quarta dose, certificando nei fatti che anche chi è vaccinato diffonde il virus e per questo è necessario un richiamo. Che fare allora? Prevedere ogni sei mesi 45 milioni di vaccinazioni, come si sta facendo ora? Oppure cominciare a pensare che per battere il Covid serve un mix di provvedimenti, che non si limitano a condannare ai domiciliari i no vax, ma richiedono cure immediate per chi si contagia, rinunciando alla vigile attesa, e l’adozione di misure precauzionali per rendere gli ambienti (aule e uffici) sicuri? Non essendo un medico e neppure un ingegnere, non mi addentro in un terreno che non è mio, ma vi invito a leggere l’intervista che Ilaria Dalle Palle ha fatto a Renzo Scaggiante, primario del reparto di malattie infettive dell’ospedale di Belluno. Si capiscono tante cose, tra cui gli errori che si continuano a fare.

di Maurizio Belpietro – La Verità

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