Covid, le barriere in plexiglass sono pericolose, a conferma dell’incompetenza dei nostri “esperti”

Le barriere in plexiglass sono sembrate subito la soluzione giusta per tornare alla normalità alla fine del primo lockdown ma dopo un anno e mezzo di pandemia i nuovi studi ne smonterebbero l’efficacia. Proteggono dalla diffusione del coronavirus? Non proprio, anzi potrebbero addirittura ostacolare la circolazione dell’aria all’interno dei locali come scuola e ristoranti, si legge su Il Tempo.

Ma quando con ironia ci chiedevamo se i virus si sarebbero schiantati esclusivamente sulla barriera invisibile senza svolazzare al di là dei pochi centimetri di larghezza e altezza della protezione miracolosa si passava per “negazionisti”.

Secondo alcune evidenze scientifiche sui contagi, i divisori in negozi e uffici non consentirebbero il giusto ricambio d’aria producendo alte concentrazioni di particelle virali pericolose. Contro queste “nuvolette”, potenzialmente portatrici di carica virale e che possono spostarsi nell’arco di almeno un metro, la soluzione migliore raccomandata dagli enti sanitari rimane il corretto ricambio dell’aria ogni 15-30 minuti, fa sapere Il Tempo. Caspita! Bisognava essere scienziati per capirlo!

«Una foresta di barriere in un’aula interferisce con la corretta ventilazione. Gli aerosol di tutti i presenti saranno intrappolati e si accumuleranno, finendo per diffondersi al di fuori dello spazio individuale», ha spiegato Linsey Marr, professore di Ingegneria alla Virginia Tech di Blacksburg. A confermare questa teoria c’è anche uno studio della Johns Hopkins University di Baltimora, pubblicato lo scorso giugno, che conferma come i divisori in plexiglass sono spesso associati a un aumento del rischio di infezione. Il plexiglass però diventerebbe “pericoloso” in luoghi chiusi e di piccole dimensioni, come le classi a scuola, conclude Il Tempo.

In alcune situazioni specifiche invece i divisori in plexiglass resterebbero la soluzione ottimale. Per esempio sull’autobus – scrive il Corriere della Sera – dove l’autista è completamente separato dal pubblico da una barriera ed è minore il rischio di contagio in un luogo così promiscuo.

Sarebbe interessante sapere quante commesse – quotidianamente a contatto con pubblico e prodotti toccati da tutti – quanti autisti di taxi e mezzi pubblici, hanno contratto il Sars-Cov-2, con o senza barriere in plexiglass. Ma non ce lo faranno mai sapere, così come non sapremmo mai se le numerose morti per «malori improvvisi», di persone anche giovani e sane siano dovute all’inoculazione del farmaco genico sperimentale perché la parola d’ordine è «nessuna correlazione».

Avanti con la terza dose. Avanti con le cavie umane perennemente dotate di «museruola» e d’ora in poi anche preoccupate dal plexiglass.

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