Gino Strada: iniziata la beatificazione

di Francesco Borgonovo

Il fondatore di Emergency è morto durante le vacanze in Francia. Negli anni la sua creatura è cresciuta a dismisura, anche grazie ai fondi che lui raccoglieva. Dava del «disumano a Salvini» ma parlava coi dittatori africani: da anni era un santo laico della sinistra.

Se fosse morto sul campo – curando feriti nello Yemen, in Sierra Leone, in Uganda o in una delle otto nazioni in cui la sua Emergency si pregia di operare – il marticologio sarebbe stato semplicemente perfetto.

Invece Gino Strada è morto a 73 anni mentre si trovava in vacanza in Normandia. Poco cambia, in fondo. Era già un santino laico da vivo, ora è destinato a entrare nell’immenso pantheon progressista: proprio là, in fondo, tra don Gallo e Tiziano Terzani. Un posto meritatissimo. Guadagnato faticosamente a partire dal 1994, quando assieme alla moglie Teresa Sarti (insegnante, portatagli via anzitempo da un brutto male), fondò quella che è forse la più nota Ong italiana.

I due erano nati a due anni di distanza (1946 lei, ’48 lui) a Sesto San Giovanni. Si conobbero nel 1971, si fidanzarono e nel 1979 ebbero una figlia, Cecilia. Per lungo tempo, Emergency sono stati loro, gli Strada. E di risultati ne hanno ottenuti, come no. Sul sito ufficiale è scritto a caratteri cubitali: «Dal 1994 abbiamo lavorato in 19 Paesi curando 11 milioni di persone. Senza discriminazioni». Non è cosa da tutti: rispetto agli attivisti da divano che popolano l’Italia, gli Strada si sono spesi fisicamente. Hanno fatto di Emergency la loro vita, la loro casa, il loro lavoro. Fin troppo.

A ieri, Gino risultava ancora direttore esecutivo. Ai primi di settembre avrebbe dovuto aprire La cura, il festival nato da un «protocollo d’intesa» con la città di Reggio Emilia, che ne ospiterà «le prossime tre edizioni». Teresa, invece, era stata presidente dell’organizzazione fino alla morte, nel 2009. Lo stesso anno le era succeduta Cecilia, non senza polemiche. «Il passaggio di consegne è stato deciso dal direttivo di Emergency su proposta di Gino Strada», scrisse la giornalista Valentina Furlanetto. «Pare che nessuno abbia battuto ciglio e che non volasse una mosca». In effetti, Cecilia lavorava in Emergency da appena tre anni e «se si eccettua “qualche lavoro come cameriera” non aveva esperienza né nel mondo profit né nel mondo non profit». Che volete, gli Strada sentivano Emergency «come una cosa di famiglia» (così la stessa Cecilia). Non è finita benissimo. La figlia di Gino ha lasciato l’incarico nel 2017: l’anno prima, l’organizzazione aveva presentato un bilancio da oltre 48 milioni di euro. Per quanto «casalinga», insomma, non era mica una robetta da niente. Ancora nel 2020, Emergency ha incassato (solo dal 5 per mille degli italiani) 11.333.886,15 euro. I soldi, tuttavia, come tristemente noto, fanno sempre discutere. Cecilia mollò dopo mesi di frizioni interne legate per lo più al rapporto disinvolto con i finanziatori.

«A dividere i componenti della Ong proprio le sue dimensioni e la sua filosofia», scrisse La Stampa. «C’è chi la vorrebbe ancora dura e pura come alle origini […] E chi come Gino Strada e l’attuale gruppo dirigente, viste le dimensioni che ha preso Emergency, non disdegna più fondi governativi italiani ed europei o finanziamenti da parte di imprese private, le ultime in ordine di tempo Impregilo ed Eni». Già nel 2014 c’era stato da litigare per via della «presenza di Matteo Renzi in campo per una partita di calcio benefica organizzata da Emercency». Una parte dei collaboratori non gradì che l’allora segretario del Pd fosse coivolto.

In realtà, una certa sensibilità sul tema finanziamenti Gino Strada l’ha sempre avuta. Non p’asso inosservato – soprattutto a sinistra – il suo solido legame con Omar Assan al-Bashir, presidente del Sudan accusato dalla Corte penale internazionale dell’Aia di genocidio e crimini di guerra. Mentre persino George Clooney manifestava contro questo bel figurino (arrivando a incatenarsi), Strada lo difendeva, lamentando l’indebita ingerenza della Corte penale nelle faccende di uno Stato sovrano. Emergency da al-Bashir prendeva circa 3 milioni di euro l’anno, e nel 2010 impegnava quasi 13 milioni per progetti in Sudan.

Strada, dopo tutto, era pragmatico: sosteneva che per salvare vite andassero bene i soldi di chiunque, e una vaga ragione l’aveva. A stridere, semmai, era il suo apparire più tenero nei confronti di personaggi come al-Bashir che nei riguardi dei suoi avversari politici. Con Matteo Salvini, ad esempio, nel 2019 fu barbarico: «Mi stupisce la completa disumanità di questo signore. È un atteggiamento che non è soltanto non solidale o indifferente, ma è gretto, ignorante. È un atteggiamento criminale, questi sono dei criminali». Ecco, queste esternazioni sorprendevano: peggio Salvini di un dittatore genocida? Va detto che Strada ne ha avute anche per i 5 stelle, che pure nel 2013 lo avevano candidato alle Quirinarie, cioè il consueto sondaggio online pentastellato per scegliere i candidati al Colle. Gino ne apparve onorato, anche se tenne le distanze. Quando però il Movimento andò al governo con la Lega, il fondatore di Emergency non si fece problemi a definire i grillini «dei coglioni». Loro, per bocca di Carlo Sibilia, risposero piccati: «Un grazie infinito a Gino Strada per il rispetto mostrato nei confronti di milioni di italiani. […] Ringrazio tutti quelli che aiutano le persone in difficoltà senza mai cercare visibilità».

Appena un anno dopo, però, Giuseppe Conte, da presidente del Consiglio, si fece venire il guizzo di indicare proprio Strada come commissario della sanità calabrese: un’altra trovata finita nel nulla, forse più utile a ricucire i rapporti che ad altro. Nel 2019 Sibilia, al netto del risentimento, aveva toccato un tasto dolente: la visibilità. A Strada è sempre piaciuta, sin dagli esordi di Emergency in Ruanda, nel 1994. Come personaggio deflagrò nel 2001, subito dopo l’11 settembre e l’attacco americano all’Afghanistan. Divenne il portabandiera degli antagonisti che, dall’Italia, marciavano contro la guerra. Pubblicò un libro di gran successo, Pappagalli verdi (Feltrinelli). Il logo di Emergency, in quel periodo, appariva su cappelli e giacchette di mille vip, a partire da Jovanttoi. Andare in visita agli ospedali di Emergency era di gran moda.

Proprio ieri, sulla Stampa, è uscito un articolo di Strada che rievocava quei giorni: «Chi allora si opponeva alla partecipazione dell’Italia […] veniva accusato pubblicamente di essere un traditore dell’Occidente, un amico dei terroristi, un’anima bella nel migliore dei casi». Un po’ troppo vittimistico, a dirla tua. Strada, nei primi Duemila, veniva trattato come una divinità. Esprimeva giudizi politici a raffica, con lo stesso garbo che ancora adesso caratterizza il suo amico Vauro, e non raramente inanellava banalità d’impatto del tipo: «Io non sono un pacifista. Io sono contro la guerra». O ancora: «I diritti degli uomini devono essere di tutti gli uomini, proprio di tutti, sennò chiamateli privilegi».

In fondo, Gino Strada era ed è sempre stato un ultrapopulista di sinistra. Un po’ di azione, tanta retorica, moltissima abbronzatura da riflettori. Mostrarsi gli serviva a raccogliere fondi, come no. Ma forse mostrarsi in modo diverso gliene avrebbe fai ottenere anche di più. Invece lui aveva il vizio della politica, sempre mantenuto da quando, nel pieno della contestazione, faceva parte (così dicono le voci) del servizio d’ordine del Movimento studentesco milanese. Di vedere «fascisti» dappertutto, in ogni caso, non smise mai. Anche per questo continueranno a idolatrarlo.

La Verità


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