Reddito di cittadinanza: danno economico, strumento elettoralistico
Dietro l’apparenza sacrosanta di aiutare i disoccupati a trovare un lavoro, coprendo la zona grigia del periodo di inattività, si è realizzato invece il solito strumento elettoralistico
Tre milioni sono gli italiani, che hanno percepito il cosiddetto reddito di cittadinanza. Dodici miliardi e cinquecentomilioni di euro, sono stati sborsati dalle casse dello Stato, per tale incombenza. Incombenza nata nella fertile mente di Gianroberto Casaleggio, il fondatore del Movimento Cinque Stelle, per dare solidità, uno zoccolo duro si direbbe in gergo, all’elettorato, soprattutto meridionale, del suo movimento, in attesa di espandersi successivamente verso i ceti produttivi del Nord. Si trattava, idealmente, di tutelare i lavoratori che avevano perso o che cercavano un posto di lavoro, nella fase di tale ricerca. Una visione certamente originale che, se lui non fosse prematuramente scomparso, avrebbe probabilmente contribuito a portare i grillini, a successi anche superiori a quelli poi ottenuti.
Con la sua uscita di scena e la guida trasferita a Grillo, tutto il sistema si è inceppato e quello che fu il primo partito italiano, si arrabatta ora fra leaderships appiccicaticce, prive di idee e di carisma e un comico più interessato alle gravi vicende giudiziarie del figlio, che alle sorti di quella che fu la creatura del grande Casaleggio. Il cosiddetto reddito di cittadinanza è degenerato, nel frattempo, in un sistema di attuazione volutamente farraginoso, che ha trasformato, soprattutto al sud, dove il lavoro è scarso e le ricollocazioni difficili, la transizione in permanenza e gli accessi selezionati, in porte del Colosseo. Dove c’è lavoro infatti e voglia di lavorare, il regolatore delle assunzioni è il mercato e non il “navigator”.
Dove, al contrario, il lavoro non c’è e non c’è voglia di lavorare, non ci sono “navigator” che tengano.
“Il periodo transitorio, in attesa di una collocazione professionale” previsto dalla legge, si è risolto così in una bufala, che si è sciolta come neve al sole, rimanendo invece saldamente “ghiaccio” la base elettorale, per cui era stata furbescamente costruita la legge. Nessuno avrebbe potuto immaginare infatti che, nonostante i continui rovesci politici, il Movimento Cinque Stelle avesse ancora oggi, nei sondaggi, il 15% dei consensi, un dato enorme difronte a tanta pochezza. Tale “reddito”, destinato ad elettori del tutto disinteressati a qualsiasi proposta politica, ma soltanto determinati a perpetuare il privilegio ottenuto, ha probabilmente giocato in ciò un ruolo basilare.
Dopo due anni dall’entrata in vigore di questa normativa, anche tutti i media italiani la considerano un flop. È emersa infatti la grande mistificazione, con cui a suo tempo era stata concepita. Dietro l’apparenza sacrosanta di aiutare i disoccupati a trovare un lavoro, coprendo la zona grigia del periodo di inattività, si è realizzato invece il solito strumento elettoralistico.
Ciò che è più grave però, è l’aver dato dignità a questo ennesimo voto di scambio, denominandolo “reddito” e non sussidio, come invece avrebbe dovuto chiamarsi. Reddito però, non è soltanto una parola, ma sottintende una prestazione lavorativa inquadrata giuridicamente e sindacalmente, con tutti i benefici e le previdenze connesse. È nata infatti, una nuova figura di dipendente dello Stato, stipendiato ed autorizzato ufficialmente a non lavorare. I migliori di questi miracolati svolgono lavori in nero, per integrare il “reddito” percepito, i peggiori bighellonano e si danno ad attività illegali.
Questa legge infine, nata come strumento intelligente e anche spregiudicato di ascesa al potere, si è declassata ora a costosissimo (per lo Stato Italiano) salvagente, di un gruppetto di personaggi, mediamente professionalmente insignificanti, che si aggrappano a quel sistema, per sopravvivere. Per l’Italia invece tutto questo rappresenta un danno enorme, oltreché economico, soprattutto culturale, sociale e morale: il disincentivo al lavoro, sponsorizzato e certificato dallo Stato. Altro che sconfitta della povertà!
In questi ultimi mesi, i media hanno ampiamente riferito delle difficoltà, in alcuni settori produttivi, quali turismo, ristorazione, grande distribuzione, ma anche tecnologia e informatica, di reperire addetti. Basti pensare che il Ministro Brunetta ha lanciato recentemente un concorso per il sud, in cui si sono presentati il 50% dei convocati. Ed era un impiego pubblico! Contemporaneamente le statistiche parlano di una disoccupazione giovanile al sud, di oltre il 50%. Tradotto in chiaro, questo può significare che molti lavoratori, alcuni milioni “in sonno”, che percepiscono il reddito di cittadinanza, optano per questo beneficio, rispetto ad un’occupazione reale.
Tutto ciò rappresenta un freno alla ripresa del paese, un attacco alla meritocrazia, un pessimo esempio per coloro e sono i più, che vogliono sacrificarsi, impegnarsi, lavorare e rendersi utili per sé stessi e per il loro paese, come stanno dimostrando tutti i giovani impegnati nei trionfi sportivi italiani degli ultimi giorni, scrive Pierfranco Faletti su Il Giornale d’Italia.
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