Stanno sempre con i gay, tranne dove serve
La Lega di Serie A tinge di arcobaleno tutti i suoi profili social, eccetto quello in lingua araba. È la classica ipocrisia liberal: si dipingono le tolleranti società europee come oscurantiste, mentre si chiude un occhio con i regimi realmente omofobi.
La Serie A si tinge d’arcobaleno. Ma solo dove conviene. La battaglia in difesa delle minoranze rimane agguerrita in Italia, Spagna e Inghilterra, però, quando si passa ai Paesi arabi, l’attivismo si scansa e subentra la diplomazia. Accade così che, su Twitter, a rimorchio di Barcellona, Juventus e Uefa, la nostra Lega calcistica colori il suo logo con le tinte della bandiera del pride nei profili occidentali, quelli in lingua italiana, spagnola e inglese. Lasciando invece inalterato il marchio nel profilo in arabo.
Il paradosso dei paladini dei diritti Lgbt è questo: moltiplicano le iniziative a sostegno dei presunti perseguitati negli Stati in cui, almeno formalmente, le rivendicazioni di quei gruppi sono state già tutte accolte. Gli ordinamenti giuridici li tutelano e molte delle prerogative un tempo riservate agli eterosessuali sono diventate oggetto di riforme in senso «egualitario». Diversamente, fuggono a gambe levate di fronte ai soprusi che gli omosessuali e i transessuali subiscono ancora nei regimi islamisti. L’apparente contraddizione, invero, si scioglie applicando semplicemente il famigerato criterio d’indagine: follow the money. Nel liberale e libertino Occidente, nel nome della saccoccia è sempre bene dare una verniciata di gay friendly al proprio business. Nel Medio Oriente musulmano, vige la stessa regola affaristica, che tuttavia produce l’esito inverso: guai a disturbare il manovratore omofobo.
Nel caso della Serie A, in ballo potrebbe esserci la prossima Supercoppa italiana, tra Inter (vincitore del campionato) e Juventus (vincitrice della Coppa Italia). Va ancora decisa la data: o ad agosto, o alla fine dell’anno. Ma soprattuto, va decisa la location. E tra le nazioni che potrebbero ospitarla, c’è anche l’Arabia Saudita, come capitò già nel 2018 e nel 2019, rispettivamente a Gedda e nella capitale Riad. Anche allora ci furono polemiche, a proposito della presenza allo stadio delle donne. Alla fine, furono «non moltissime, ma visibili e sorridenti» (La Gazzetta dello Sport). Qualcuna, addirittura senza velo. Un trionfo di emancipazione. Stavolta, visto che il giugno dell’orgoglio gay, specialmente nel nostro Paese, si è rivelato particolarmente bollente, complici i conflitti sul ddl Zan, coerenza vorrebbe che chi piange per gli oppressi in Europa, tuoni contro gli oppressori pure del mondo arabo.
Un problema simile potrebbe riproporsi l’anno prossimo, in occasione dei Mondiali in Qatar, che si svolgeranno tra novembre e dicembre 2022, eccezionalmente, per evitare le temperature proibitive dell’estate. Norvegia e Germania hanno già protestato, perché l’emirato se ne infischia dei diritti umani. Chi oggi, agli Europei, sogna le arene illuminate con l’arcobaleno, avrà il coraggio di stracciarsi le vesti davanti ai maomettani?
Per adesso, dal presidente della Lega di Serie A, Paolo Dal Pino, non sono arrivate repliche al tam tam che è partito sui social e si è acceso già nella serata di domenica, quando alcuni utenti avevano notato la singolare devianza sulla pagina araba dell’organo calcistico. Qualcuno ha commentato: «Questo dovrebbe farvi capire che è solo un teatrino atto a farsi pubblicità, ma quando c’è da esser seri si tirano indietro». Ecco, il fatto è che l’ideologia Lgbt – e il conformismo che l’accompagna – si affannano per dipingere le società democratiche e liberali come fucine d’intolleranza, comunità segnate dalle cicatrici di un’ingiustizia radicale, che praticamente nullifica ogni conquista d’uguaglianza. Al contempo, i fondamentalisti arcobaleno licenziano agende politiche con obiettivi distopici, dalla transessualità infantile all’utero in affitto, cercano di raccattare maggioranze che varino leggi per mandare in galera chiunque osi mettere in discussione il pensiero unico, e però descrivono i luoghi in cui vivono come laboratori di violenza e prevaricazione. Eppure, nella storia non s’era mai vista una minoranza vittima di crudeli angherie, che avesse dalla sua parte le istituzioni, gli organismi di garanzia, i media, gli opinionisti, i capitalisti, le multinazionali, i Vip, gli artisti e scusate se dimentichiamo qualcuno.
Dove ci sarebbe davvero bisogno d’un segnale, di una forma di pressione, di una campagna di sensibilizzazione, non per le transizioni, ma per il rispetto dei diritti elementari, i campioni della causa omosex e transex, si trasformano in miti agnellini, al servizio dei potentati economici. Alimentando, appunto, il sospetto che tutta la tragedia si risolva in farsa, che tutto l’impegno civile sia la maschera dell’ipocrisia. I benpensanti, del calcio, del calcio come dello spettacolo e della cultura, ficcano la testa sotto alla sabbia. Dei deserti arabi.
di Alessandro Rico – La Verità